Dopo quanto abbiamo detto, il profilo del pellegrino potrebbe delinearsi da solo, automaticamente.
Movesi il vecchierel canuto et biancho
…
Indi trahendo poi l’antiquo fianco
Per l’extreme giornate di sua vita,
quanto più po’, col buon voler s’aita
rotto dagli anni, et dal cammino stanco;
et viene a Roma, seguendo ‘l disìo,
per mirar la sembianza di colui
ch’ancor lassù nel ciel vedere spera.
(Francesco Petrarca, Canzoniere, XVI)
Il pellegrinaggio è un viaggio, individuale o collettivo, compiuto per devozione, ricerca spirituale, per sciogliere un ex-voto, per pregare, visitare i luoghi santi e, attraverso essi, il cammino della salvezza.
Chi compie q
uesto viaggio è colui che, lasciando l’ordinario della propria quotidianità, va ramingo, per i campi (per ager → peregrino), ad incontrare il sacro, affrontando fatiche e rischi insiti nel suo andare.
Nell’immaginario collettivo la figura del pellegrino medioevale è (era) associata a quella d’un vecchietto che, giunto all’“extreme giornate di sua vita”, “rotto dagli anni … ”, si mette in cammino per esaudire il suo desiderio di vedere il luogo santo e possibilmente morirvi in santità.
L’iconografia ce lo rappresenta con un cappello dalle larghe falde rivoltate in testa, sulle spalle un camaglio di cuoio, una vasta “pellegrina” a bandoliera, una zucca pendente dal bastone (bardone) ricurvo e chiodato al quale appoggiarsi, una borsa (scarsella) sempre aperta, ad indicare che era pronto a ricevere e a dare.
I più accorti, prima di intraprendere il viaggio, si documentavano sui luoghi e sulle strade da percorrere. Oggi esistono le “Guide blu” e i viaggi organizzati, pronti a mischiare sacro e profano, il religioso con l’esotico e l’esoterico con pellegrini non facilmente distinguibili.
Nei resoconti medioevali (odeoporicon) c‘era di tutto: curiosità sulle strade e loro insidie e difficoltà, posti di ricovero e passi ardui, consigli come non coricarsi troppo, non fidarsi delle sabbie, guardarsi dagli insetti, evitare cibi troppo pesanti (fritture).
Il pellegrino, penitente e povero, era protetto dalla chiesa come persona da rispettare ed era riconoscibile dai segni che portava addosso: la croce o la palma se andava a Gerusalemme, la conchiglia – sul petto o sul cappello – se la meta era Santiago. La conchiglia sarebbe diventata, col progredire del tempo, il simbolo comune a tutti i pellegrini, moltissimi dei quali riuscivano a coronare il loro sogno, molti perivano per mare o per terra, alcuni in prossimità del luogo santo, altri fatti prigionieri dai saraceni.
Ben si addiceva loro la qualifica, quindi, di viator (plurale, viatores), che affrontava disagi e pericoli del viaggio che è la vita sulla terra per giungere alla Jerusalem coelestis, di cui quella terrena è solo una metafora, una lontana eco .
Ogni p. è un’avventura unica, irripetibile; presuppone che ciascuno, abbandonate le sue sicurezze, sia disponibile all’ascolto, al desiderio di rinnovarsi; si senta Dio vicino perché Egli ama camminare con noi. Quanto più si va lontano e quanto più ci si stacca dalle cose, tanto più si è spinti a guardare in se stessi per scoprire cosa conta veramente nella vita.
“Non è necessario andare lontano per essere e sentirsi pellegrini, ma il muoversi fisicamente ha una grande forza evocativa e la condizione esteriore aiuta e stimola l’atteggiamento interiore” .
In ogni caso, di là delle modalità nelle quali si concretizza oggi, quella dei veri pellegrini è la storia di una lunga tradizione che, pur rinnovandosi di continuo, presenta delle costanti che qualificano la componente religiosa popolare, legata alla cultura e alla sensibilità dei fedeli:
• Il desiderio di rivivere nella propria vita la storia della salvezza;
• L’esigenza di celebrare, pregare, venerare, chiedere, ringraziare;
• La gioia di vivere, soffrendo, facendo penitenza e sacrifici materiali;
• L’anelito di rinnovamento, di purificazione;
• La tensione di donarsi agli altri nel servizio umile e disinteressato, nascosto e senza ostentazione;
• La sete di ritrovare se stessi in solitudine interiore, nel distacco … dalle realtà materiali;
• L’impegno di voler servire la chiesa e di testimoniare la propria fedeltà ;
• La consapevolezza che tutti siamo figli di un unico padre, al di là di tutte le barriere sociali e dei pregiudizi esistenti tra uomo e uomo.
Quanto sopra riportato mette in evidenza, secondo Vincenzo Bo, come, pur nel volgere del tempo, l’innata sensibilità religiosa dei fedeli abbia suggerito modalità sempre nuove, ma fondamentalmente simili per esprimere, da creature naturaliter religiosae, la propria esperienza di Dio.
Secondo Eugenio Fizzotti , per alcuni farsi pellegrino significa cercare risposte rassicuranti alle frustrazioni derivanti dalla inibizione sociale, dal destino e dalla morte, e alle fatalità legate alla natura matrigna; per altri invece si tratta di difendere un sistema di valori e comportamenti, minacciato da una società che travolge ogni cosa; per altri ancora si tratta di trovare risposte precise a proprie personali ipotesi. Non mancano, infine, coloro che attraverso il p. cercano rifugio all’angoscia scaturente da emarginazione, isolamento, rifiuto familiare e depressione; per questo motivo essi non vorrebbero mai staccarsi dal luogo di culto, ove vorrebbero rimanere a pregare e ove fanno il pieno di “ricordini”. Ma c’è un altro motivo che rende il p. un’esperienza profonda, un fattore di crescita non indifferente: il mettersi a nudo, tendere l’orecchio a chi soffre, parteciparne le sofferenze e farsi carico dei problemi e delle tragedie, donarsi in un atto di fede, che attraverso l’operosità cresce, si confronta, si sviluppa e dà le risposte agli interrogativi esistenziali.
Luigi Sartori, in un articolo dal titolo Significato teologico del pellegrinaggio , esamina gli aspetti antropologico, cristologico ed ecclesiologico del p..
Secondo l’illustre cattedratico, l’uomo, sospeso tra storia ed eternità, è un cercatore di vita, di verità, di bene e felicità, che non può rinvenire in se stesso; è un essere costantemente “in divenire”, come la sua fede che non può che essere peregrinante e, non per nulla, anche il papa parla di itinerari della fede.
L’esistenza storica di Gesù fu un continuo peregrinare e Lui ha parlato di “esodo dal Padre” e di “ritorno al Padre” (Gv. 16,28). Tutto è p.: il Figlio procede dal Padre, lo Spirito Santo dal Padre e dal Figlio. Il Figlio viene a farsi uomo e a vivere con noi, lo Spirito discende sulla Chiesa e sul mondo. Gesù sale al Padre e “di nuovo verrà a giudicare i vivi e i morti”.
Allora sembra proprio che il p. faccia parte della vita di Dio: il suo uscire da sé per darsi a noi intende proprio coinvolgerci in un movimento analogo che ci rafforzi in un estremo, radicale “uscire da noi stessi” per restituirci a Dio e rientrare in Lui.
«Il Figlio fa esodo dal Padre “senza di noi ma pro nobis, per noi”; ma intende tornare al Padre “nobiscum, con noi”. Prodigiosa forza della carità divina, che in Cristo e per mezzo dello Spirito Santo, diventa anche nostra carità, carità umana. Questo è il senso della vita cristiana; questo il progetto di Dio» .
Ecco, allora, il costante richiamo ecclesiastico alla metafora del p., che potrebbe avere, ed ha, un forte richiamo simbolico al senso della vita umana, della vita di Cristo e di Dio.
La Chiesa è il popolo di Dio in cammino; una chiesa dunque “pellegrinante” il cui andare ne è la nota costitutiva (“Andate per il mondo…”), come lo sono la “purgante” (i defunti), e la “trionfante” (i Santi). La Chiesa è sequela di Gesù nel senso del cammino: pasqua.
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Le Vie. Nella nostra epoca, grazie ai veloci e comodi mezzi di spostamento (aereo, treno, automobile) e ai costi di viaggio non eccessivamente elevati, la categoria culturale del p. s’è sempre più confusa con quella del turismo religioso, che in verità lascia poco spazio alla meditazione, alla preghiera,
alla fortificazione della fede. Il vero pellegrinaggio, che comporta anche la fatica da offrire al Signore, come da consuetudine più che millenaria va compiuto a piedi. Percorrere un tratto del cammino, più o meno lungo, sulle nostre leve, ha dimensioni più forti, ci consente di guardarci attorno e meditare.
La prima meta dei pellegrinaggi cristiani, come più volte ricordato, fu Gerusalemme, soprattutto dopo l’Editto di Costantino del 313. Nella città santa si andava per cercare la Croce, i chiodi, la tunica, la Scala Santa o per percorrere i luoghi della predicazione e della passione di Cristo e, possibilmente, morirvi in pace con Dio e gli uomini.
Il cammino, la Via, era pieno d’insidie, rischioso sotto molti punti di vista e per questo prevaleva il p. collettivo. Caduta nel 638 d. C, Gerusalemme in mano araba, il flusso dei pellegrini cominciò a dirigersi verso Roma, città benedetta, santificata da Pietro e Paolo.
Nacquero in questo periodo le Vie Romee, tra cui la Francigena ed El Camino de Santiago.
Santiago è il corrispettivo spagnolo di San Giacomo, uno dei dodici apostoli, protomartire essendo stato decapitato nel 44 d. C..
Secondo la leggenda il suo cadavere fu posto su una nave, senza nocchiero e senza vele, che lo portò in Spagna dove fu sepolto, nella piana della stella (campus stellae). Occupata la Spagna nell’VIII secolo dai Mori, la scoperta dei resti del Santo diede la spinta necessaria alla Reconquista. Via via cresceva il suo culto, Santiago fu visto come il difensore della cristianità minacciata dagli infedeli.
Sul luogo della sua tomba era stata eretta una prima cappella e una chiesa poi (868), distrutta dai saraceni sul finire del X secolo; infine si iniziò a costruire una nuova Cattedrale. Dall’XI secolo la via che portava a Compostela era intasata da una moltitudine di persone, uomini e donne indistintamente, talmente numerose da sembrare le stelle del cielo, la Via Lattea. Ed è così che è definito il Cammino di Santiago, la strada che porta nella città galiziana.
Lungo la via, come sulle altre che conducevano ad altre mete, sorsero mercati, ospizi e alberghi (ogni 30 km), ospedali e servizi per le pratiche religiose.
Partivano da Parigi, Vézelay, Le Puy ed Arles le quattro principali strade che conducevano a Santiago. Lungo queste arterie sorgevano le “chiese dei pellegrini”, simili nella struttura alla Cattedrale del Santo, grandi e spaziose per accogliere la massa dei pellegrini .
La Via Francigena attraversava tutta l’Europa e conduceva a Roma.
Con le Crociate la Francigena diventa la via dei soldati di Cristo e di quanti sono diretti in Terra Santa; in senso inverso rappresenta parte del percorso che gli Italici compiono per recarsi in Spagna.
Anche lungo di essa sorsero foresterie, ospizi, ospedali, chiese, monasteri. Dopo il 1000, la Via Francigena venne detta anche Romea perché conduceva a Roma e Romei furono definiti i pellegrini che si recavano nell’Urbe.
Il percorso si snodava dal Brennero, attraversava il Veneto (a Venezia ci si poteva imbarcare per l’Oriente), raggiungeva Forlì e Cesena e, valicati gli Appennini, perveniva in Toscana; da qui, per Firenze e l’Umbria si arrivava a Roma.
La strada costiera (da Urbino) consentiva di raggiungere i porti della Puglia, ove imbarcarsi per Gerusalemme. Detto e documentato itinerario toccava Venezia, Ravenna, Cervia, Cattolica e incrociava in più punti la Via Emilia e la Flamina; lungo il suo tragitto si rinvenivano importanti centri di preghiera.
“La Francigena fu un fattore di sviluppo economico, poiché il decollo dell’economia di tanti centri toccati dalla via fu dovuto all’importanza crescente di questa. Grazie alla Francigena, poterono realizzarsi interrelazioni che portano alla sostanziale unità della cultura europea tra l’XI e il XII secolo. Con gli uomini e le merci, la Via veicolò sempre le idee, contribuendo a far circolare i modelli elaborati dai centri di cultura della comunità cristiana medievale” .
La Via Francigena è considerata la strada più antica d’Europa; attraversava numerose città dell’Italia centro-settentrionale e valicava le Alpi e gli Appennini. Era variabile nel percorso a seconda delle stagioni, con alcuni punti fermi come Piacenza, Fidenza e Lucca.
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La pratica del p. è presente anche in altre religioni. Una forte caratterizzazione l’hanno il rito musulmano e quello indù, sui quali ci soffermiamo brevemente.
Uno dei cinque grandi precetti dell’Islam è il p.(hajj), almeno una volta nella vita, alla Mecca: “Chiama, tra gli uomini, al pellegrinaggio. Che vengano a piedi o su un ronzino; che arrivino da ogni lontano passaggio” – dice il Corano (22,27), che aggiunge: “Compite il pellegrinaggio e la visita dei luoghi sacri in onore di Dio” (II, 196). Il viaggio ha luogo ogni anno in un periodo prestabilito, che coincide tra il 9 e il 13 del mese lunare di dhul-hijja. Sono milioni i pellegrini che da tutto l’Umma (mondo) musulmano si recano alla Mecca, il cui territorio è sacro. Per questo motivo ne è vietato l’accesso a coloro che non vi accedono in stato di purezza (hiram); dopo l’obluzione rituale il pellegrino indossa una veste bianca, costituita da due pezzi di stoffa.