Il rituale prevede il tawaf, cioè girare sette volte intorno alla Kaaba, toccare e baciare la Pietra nera, compiere il say (una corsa tra le due colline di Safa e Marwa, in città) e offrire in sacrificio una capra, una pecora o un cammello .Prima di giungere alla Mecca, a Mirna avviene a “lapidazione del diavolo”, che consiste nel lanciare sette piccole pietre in tre diverse direzioni. Terminato il p., il fedele può compiere la visita alla tomba di Maometto, a quella dei primi musulmani e bere acqua nel pozzo di Zam-zam. Sulla via del ritorno, si raderà i capelli, smetterà la veste bianca, simbolo della purezza, e potrà fregiarsi del titolo di hajjà .
Naturalmente esistono altre mete o luoghi santi per i seguaci di Allah e tra queste Gerusalemme, la città santa delle tre grandi religioni monoteiste. Il p. ha un valore comunitario elevato di rinnovo dei vincoli di tutta la comunità musulmana ed è “un atto di obbedienza che conduce il musulmano alle sorgenti della sua religione. E’ un bagno d’aria nel deserto, una marcia attraverso gli spazi aridi che un giorno percorse il profeta. E’ una visita ai luoghi che hanno visto nascere l’Islam. E’ un’affermazione nella fede nell’unico Dio, il Dio di Abramo e di Ismaele, visto attraverso il Corano e in quanto tale del Dio della Kaaba” . Il musulmano, che ne è impedito per un valido motivo, può compiere, pagando, il suo viaggio tramite terze persone.
Benares, sulle rive del Gange, è la città santa degli Induisti e molti desiderano recarvisi in p., convinti che morendo in quella città si vada dritti nel paradiso di Siva. Per questo motivo Benares, affollata da vecchi, malati, vedove, può suscitare l’impressione di un luogo di morte e lungo le scalinate che scendono al fiume ardono in continuazione cataste crematorie. E’ un’impressione sbagliata perché l’atmosfera è di gioia e l’esservi arrivati rappresenta una festa . I santoni, già ricongiunti a Brahma in questa vita, una volta morti vengono inghirlandati e i loro corpi lascaiti scivolare lungo il fiume tra canti e suoni. Un momento importante di tutto il p. consiste nel portare, a piedi, un fiasco d’acqua del sacro fiume a Ramesvara, distante 1600 km per versarla nel
tempio di quella città.
Le norme che regolano il p. indù sono stabilite dal Mahābhārata, che prescrive il cammino a piedi, il digiuno, il taglio dei capelli, una veste particolare (Karpatika) e un’offerta al tempio. Tutto per dimostrare che si è in grado di staccarsi dai luoghi e dalle abitudini di questa vita alla ricerca dell’infinito. Un’affascinante descrizione del p. indù si deve al monaco benedettino Henri Le Saux con il libro Una messa alle sorgenti del Gange.
In Giappone esiste un tipo di p. detto junrei, consistente nel visitare un numero fisso di templi in un dato ordine. L’henro ( p.) più popolare è quello che si svolge sull’isola di Shikoku.
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Con l’augurio che l’uomo moderno, solo nella folla, non si lasci fuorviare dallo splendore di una società edonistica, che sembra aver smarrito la via maestra dell’esistenza – che solo una fede sincera può dare – e adorare falsi idoli che piuttosto che confortarlo nel suo lungo peregrinare ne mortificano la parte migliore, ci piace chiudere questo breve lavoro con le parole di Mons. Ludovico Puma, presidente di Oby Whan (Tour Operator):
“Il Pellegrinaggio, infatti, è un’esperienza densa di speranza e di gioia, di consolazione e di conforto, di consolidamento della fede e di stimolante dedizione nella carità; un’esperienza che sollecita ed edifica il credente verso la santità della vita. Scaturisce dal cuore dei credenti, come cammino di ricerca di Dio, della sua Grazia e della sua Misericordia, dei suoi infiniti Doni, come itinerario di conversione per una fedele e generosa sequela di Cristo.
Ogni pellegrinaggio è una meravigliosa parabola della vita, della vita cristiana, in particolare. Attraverso l’esperienza autentica del pellegrinaggio e della sua grazia, il pellegrino realizza in sé e diventa segno per tutti di quell’indole pellegrinante della Chiesa verso il compimento di tutte le cose nella Gloria del Cristo, quando finalmente Dio sarà tutto in tutti” .
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Nella Montagna agrigentina
Nella zona della Montagna agrigentina due sono i luoghi in cui la gente si reca in pellegrinaggio: il Santuario di Santa Rosalia alla Quisquina e quello della Madonna della Rocca ad Alessandria d. R..
Ad essi si potrebbero aggiungere il santuario di S. Giacinto Giordano Anzalone, sempre a Santo Stefano Quisquina, e l’Eremo di Santa Croce, a Casteltermini, dove si conserva una croce paleocristiana.
La devozione per la “Santuzza” è profondamente radicata e di lunga data. Ella è la Santa patrona di S. Stefano e compatrona di Bivona e Rosalia è un nome molto diffuso in questa parte dell’Isola.
Narrano le cronache, in un misto di realtà e leggenda, che in una grotta della Quisquina (da Koskin = ombra), di proprietà della famiglia, trovò rifugio Rosalia Sinibaldi, che era stata damigella della regina Margherita, moglie del re normanno Guglielmo il Malo.
Così, infatti, recita l’epigrafe rinvenuta nel 1624 sulla stessa grotta:
EGO ROSALIA SINIBALDI
QUISQUINE ET ROSARUM DOMINI FILIA
AMORE DŇI MEI IESU CRISTI
INI HOC ANTRO HABITARI DECREVI
Quanto tempo la Vergine romita abbia trascorso in questo luogi impervio, difficile da raggiungere, non sappiamo, anche se nella stessa incisione si legge il numero 12, che potrebbe riferirsi, sì, agli anni ma anche ai mesi. Sembra difficile che Rosalia vivesse isolata; molto verosimilmente era in contatto con la gente del posto e riceveva i sacramenti presso il convento basiliano di Melia, non distante. D’altra parte, sin da tempi remoti, è stata raffigurata in abiti monacali basiliani. Lasciata la grotta quisquinese (a circa 1000 m. d’altitudine), si sarebbe rifugiata sul Monte Pellegrino, dopo aver preso gli ordini nel 1162. Non sappiamo quando sia morta, probabilmente il 4 settembre (1166) perché in questo giorno viene celebrata. Il corpo sarebbe stato rinvenuto nel 1624 mentre a Palermo infuriava la peste, che la Santa avrebbe scongiurato.
Il ritrovamento delle ossa e la scoperta dell’epigrafe nella grotta stefanese alimentarono il culto di S. Rosalia, comunque già diffuso.
Nel 1625 Giovanni Ventimiglia, signore di S. Stefano Q., offrì alla pietà degli stefanesi alcune reliquie della Santa, custodite in un busto argenteo, e la popolazione cominciò ad erigere l’Eremo, dove i pellegrini si recano per ringraziare, pregare, sciogliere un ex-voto, chiedere una grazia, per guarire da malattie.
Tra il 1620-25, su una collina, poco distante da Alessandria della Pietra, in località detta “Rocca ’ncravaccata”, madre e figlia cieca stavano raccogliendo, come d’abitudine, erbe selvatiche. Mentre la donna stava dall’altra parte del monte, alla povera cieca apparve una donna che le disse di essere la Regina dei cieli e la incaricò di riferire alle autorità locali che Lei era la protettrice di quei luoghi e che, sulla Rocca, avrebbero dovuto edificarLe un santuario, dove venerare il simulacro che si trovava sottoterra, ai piedi della ragazza.
A questo punto il miracolo: la ragazza riacquista la vista. Recatasi in paese assieme alla madre, riferì tutto al parroco e alle autorità civili che, recatisi a “Rocca ’ncravaccata”, rinvennero la statuetta (60 cm) della Madonna. Molto probabilmente il simulacro era stato nascosto in quel posto durante l’iconoclastìa bizantina o nel periodo di dominazione saracena della Sicilia.
Naturalmente gli Alessandrini eressero il santuario e nominarono la Madonna della Rocca, alla quale dedicano una grandiosa festa l’ultima domenica d’agosto, protettrice della città. Anche il nome del paese fu mutato in “della Rocca”. Nell’ultima settimana di quel mese i miei concittadini, pur essi devoti della Madonna della Rocca, si riuniscono di buon ora in Largo San Gaetano e iniziano a piedi, tra preghiere e canti, il pellegrinaggio lungo un itinerario di 7 km. Molti percorrono l’ultimo tratto scalzi.
Antonio Giannone
Bibliografia essenziale:
• Enciclopedia Europea, Garzanti, Milano 1980.
• Credere Oggi, 87/1995.
• F. V. Joannes, L’uomo del Medio Evo, Milano, 1978.
• Wikipedia, enciclopedia elettronica.
• Kerschbaum – Gattinger, Via Francigena – A piedi fino a Roma, Documentazione DVD, Eurovia, Vienna 2005.
• J. Jomier, Il Mahal e la carovana egiziana dei pellegrini della Mecca, Cairo, 1953.
• AA.VV, Le grandi religioni del mondo, speciali I.M., Bologna, s.d..
• Henri Le Saux, Una messa alle sorgenti del Gange,Brescia, 1968.
• Luigi Sartori (a cura di), Pellegrinaggio e religiosità popolare, Padova, 1983.
• ITCG “L. Panepinto”, Nicchie ed edicole votive, conventi, Santuari, Chiese ruperstri della Montagna agrigentina (a cura di E. Giannone), Bivona, 1999
“Lo Straordinario risiede
nel Cammino
delle Persone Comuni”
Paulo Coelho