Per pellegrinaggio (d’ora in poi p.) s’intende il recarsi, per devozione o penitenza, per catarsi o per ex-voto, in un luogo che la pietas popolare considera sacro; un luogo in cui
generalmente sorge una Chiesa (o Santuario) che custodisce reliquie o immagini miracolose o è stata edificata nei luoghi della vita e passione di Nostro Signore Gesù o vi è apparso, come la Madonna o i Santi, o vi è nato od operato un Santo. Si pensi a luoghi come Gerusalemme, Nazaret, Betlem, Roma, Santiago de Compostela, Padova, Lourdes, Fatima, Loreto, Medjugorie, Czestochowa, S. Giovanni Rotondo, stando a quelli di fama internazionale; ma ve ne sono altri, meno noti e legati a un p. che potremmo definire locale o regionale.
Nell’antica Grecia un gran numero di santuari davano vita a qualcosa di molto simile ai p.. Il più famoso santuario era quello di Delfi, dedicato al culto di Apollo, dove si arrivava in processione secondo un itinerario prescritto e dove si ascoltava il responso della Pizia, sacerdotessa e profetessa del “dio dell’arco d’argento” e del sole (Pytho era l’antico nome di Delfi). Altro santuario famoso era quello d’Asclepio, dio della medicina, ad Epidauro (oggi famosa soprattutto per il suo splendido anfiteatro).
Ai due dei gli Elleni si rivolgevano per guarire da talune malattie.
Nel greco antico non esiste un termine che traduca il nostro p., quello che più gli si avvicina è theoria (processione sacra).
Per gli Ebrei il p. consisteva nell’ascesa a un luogo sacro per celebrarvi, poi, una festa. I luoghi erano diversi e ognuno era riservato a una particolare tribù. Dall’età dei re in poi, Gerusalemme divenne il centro spirituale di tutti i figli d’Israele, che vi si recavano, per obbligo, per tre feste l’anno: Pasqua-Azzimi, Pentecoste e Capanni (o Tabernacoli).
Tra i santuari più famosi: Galgala, Mispa di Beniamino, Gabaon, Ofra, Dan e Silo, dove per lungo tempo era stata custodita l’Arca dell’Alleanza.
Nel mondo biblico si trovano notizie che afferiscono al p., meglio definibile deambulazione sacra o religiosa, per distinguerla da processione, che può avere sì carattere religioso ma anche civile, laico.
Le caratteristiche della deambulazione sacra erano almeno quattro :
1) il pellegrinaggio, cioè il cammino per raggiungere il luogo della festa;
2) il ritiro, al quale, tuttavia, non partecipavano tutti i convenuti ma solo determinate persone;
3) il corteo, un percorso più breve, che aveva una dimensione cultica o sacra;
4) la processione, che non è funzionale al trasloco ma è essa stessa atto di culto.
I dati che l’Antico Testamento “offre per ciascuno di questi modelli sono di ampiezza e valori diversi. Mentre per il pellegrinaggio i testi sono numerosi, per le altre deambulazioni le conoscenze sono piuttosto limitate per l’esiguità dei dati stessi”.
1) Nella fase di partenza del p. ciò che conta è la parola di Dio, che invita a compiere il viaggio: «Dio disse a Giacobbe:”Alzati, va’ a Betele e abita là; costruisci in quel luogo un altare…”», (Gn 35,1). Avviene, quindi, il rito della purificazione, il cambio delle vesti in segno di purificazione e santificazione interiore, e il seppellimento degli idoli degli stranieri in segno di rinnegamento. La seconda fase è quella del cammino, cui segue quella dell’arrivo; quindi l’adorazione, il sacrificio e un pasto sacro di tipo familiare. “Subito dopo veniva lasciato spazio alla pietà individuale e all’incontro col clero locale” .
I riti di partenza, arrivo e ritorno si possono ricomporre attraverso la testimonianza dei salmi delle ascensioni al tempio (Sal. 120-134) e dei salmi di p. (Sal 15, 84, 91, 122).
– I riti di partenza si possono intravedere nei salmi 120-121. nel primo si vede come qualche cosa di angoscioso e di crudele spinga il gruppo a intraprendere il p. in modo ampio e partecipato. Nel secondo si possono cogliere i saluti dei parenti.
-I riti di cammino non sono testimoniati, anche se si possono pensare come riti che ricordano la marcia trionfale e militare dell’esodo.
– I riti d’arrivo sono ben descritti nel Sal 84; ci sono acclamazioni di gioia (vv.1-4) e i saluti tra gli arrivati e i leviti che li accolgono (vv.5-6.13). Segue immediatamente una catechesi (cf. v. 12 e Sal 15,1-5b) e il disbrigo di qualche affare giuridico di pertinenza sacerdotale (Sal 122,5). Subito dopo s’innalza una preghiera per Gerusalemme (Sal 123; cf.64,9-19) e un ringraziamento per essere giunti alla città santa (sal 124). Dopo questi riti ufficiali veniva lasciato spazio alla pietà individuale, della quale il Sal 125 potrebbe essere un esempio. I Sal 126-132 presenterebbero i vari riti di offerta dei raccolti, delle preghiere di benedizione e di maledizione (contro i nemici e gli increduli), i riti di espiazione per i peccati contro l’alleanza, le espressioni di fiducia in Dio e la lode a Gerusalemme in attesa del Messia.
-I riti di ritorno si possono trovare nei Sal 133-134. Si tratta di un sobrio bilancio del p. dove si è vissuta la benedizione dello stare insieme come fratelli. Ci sono i saluti ai leviti e l’ultima benedizione sacerdotale ai partenti.
2) Il ritiro è un rito che spinge all’appartarsi per compiere un atto di celebrazione e/o di commiserazione e di pianto (cfr.gdc 11,29-49, episodio di Jefte e figlia).
3) Nel corteo sembra ci sia poco di religioso e nella Bibbia vi sono solo due rimandi (L’unzione di Salomone a re – 1Re 1, 32-40 – e un corteo nuziale). La “sacralità” deriverebbe dal fatto che alla gioia umana partecipa lo stesso Dio.
4) Partecipare alla processione (la processione di Giosuè per la presa di Gerico e quella con cui Davide trasportò l’Arca dell’alleanza a Gerusalemme) significa sentirsi coprotagonisti della fatica e della benedizione di quanti avevano conquistato la terra promessa.
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Nell’era cristiana il p. è espressione della religiosità popolare perché non regolamentato dall’autorità ecclesiastica.
Il p. ha come meta la Palestina, luogo dove si compì quanto annunciato dalle Scritture.
Il traffico verso Gerusalemme aumenta nel IV secolo con la pax costantiniana.
Verso la fine dello stesso secolo inizia un’altra forma di p., diretto alle tombe o ai luoghi di martiri e confessori, che “coinvolge i fedeli
in celebrazioni ove si fondono riti liturgici ed esplosioni di religiosità popolare. Radicato nel territorio, diventa compensativo per chi non può – o non può permettersi di – andare nei luoghi santi” . Questi luoghi, sia ad Occidente che ad Oriente, erano frequentatissimi e le chiese, illuminate a giorno, restavano aperte costantemente, mentre i predicatori parlavano a una folla eterogenea che non riusciva ad intendersi. Stracolmi erano i ricoveri per i pellegrini stranieri (xenodochia).
Nei secoli successivi, alla tradizionale forma di p., se ne aggiunge una nuova: quella penitenziale, espressione dei tempi mutati e delle insidie dei luoghi, infestati da briganti e da orde barbariche.
Nell’Europa occidentale, per influsso del monachesimo irlandese (San Colombano), nasce “il servizio di Dio nella penitenza detta anche pellegrinaggio” e, in questa connotazione ascetico-penitenziale, lasciare il sicuro nucleo familiare per avventurarsi nel p. diventa la forma più perfetta di penitenza.
Il p. penitenziale veniva assegnato dai confessori per mondare alcuni gravi peccati.
Caduti i luoghi santi in mano musulmana, la meta diventa Roma, luogo dove è conservato il velo della Veronica e di martirio dei principi degli Apostoli, Pietro e Paolo. I pellegrini che puntano su Roma sono detti Romei.
Non c’è contrasto tra eremitismo e p. perché entrambi presuppongono una separazione per andare lontano a cercare in solitudine un più intimo rapporto con Dio; meglio se il viaggio si coronava con il martirio. Molti eremiti-pellegrini, abbandonati i loro luoghi solitari, si diffusero per città e campagne predicando il Cristianesimo delle origini e tuonando contro la corruzione e la mondanità del clero, attirandosi i suoi strali. Se il loro fervore spirituale era senz’altro lodevole, essi non erano immuni da ignoranza e il movimento sarebbe sfociato talvolta nell’eresia.
Il loro, spesso, diventava un vero e proprio peregrinare e in taluni casi si sarebbe trasformato in autentico vagabondaggio, tale da indurre le comunità cristiane a guardare con occhio preoccupato a questi “scansafatiche”.
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In qualche modo le stesse Crociate, predicate dal movimento eremitico (Pietro d’Amiens, detto L’eremita), possono essere considerate dei p..
Il crociato è un pauper, che affronta rischi e pericoli, sfida la morte, si sottopone a veglie, digiuni e penitenze e partecipa a processioni di ringraziamento.
I cristiani partecipano alle crociate realizzando “un vero e proprio p. collettivo, non solo perché vi prendono parte insieme, ma anche perché essi provengono da ogni classe sociale. Nobili e popolani, ricchi e poveri si uniscono in un solo sforzo realizzando una certa parità e uguaglianza, fraternizzando in una povertà comune che è occasione e simbolo d’umiltà e carità” .