Altra forma di p. praticata è quella devozionale, diretta per lo più a Santuari mariani (Loreto, Lourdes, Fatima, Czestochowa, Medjugorie) ma anche a chiese e luoghi legati a santi particolari, come Santiago, San Michel, San Benedetto, San Francesco, San Antonio di Padova, Santa Rita da Cascia e, in Sicilia, Santa Rosalia a Palermo e a Santo Stefano Quisquina, S. Lucia e la Madonna delle Grazie a Siracusa, Sant’Agata a Catania.
Ma sono i santuari mariani quelli che accolgono senza soluzione di continuità, a decorrere dal secolo XV, pellegrini provenienti da tutte le parti dell’orbe cristiano.
Diversi gli elementi all’origine del fenomeno: apparizione della Vergine, miracoli, rinvenimento e prodigi di sue immagini etc.
Basta la notizia a favorire l’accorrere di gente sempre più numerosa, che vi edifica prima un’edicola, una nicchia, una cappelletta e poi una chiesa-santuario.
Su tale tipo di p. “si innestano anche forme penitenziali ed espiatorie che si esprimono in gesti e riti che vanno dall’autoflagellazione al compiere a ginocchioni gli ultimi tratti del percorso, o all’arrivare alla meta portando catene o croci pesanti…” .
Sono, questi ultimi, gesti che generano scetticismo nei miscredenti che, acciecati dal loro razionalismo e dal luccichio del progresso, li definiscono prodotti della superstizione ma che si spiegano come atti di fede ed in questa chiave (di fede e mortificazione di se stessi) vanno letti e spiegati.
Riferendosi al p. medioevale così ha scritto Jacques Madaul: «Viene da pensare a un vasto sistema di vene e di arterie che fa scorrere incessantemente le popolazioni e agisce su quelli che non si spostano
non meno che su quelli che affollano le strade. La “res publica” cristiana medioevale prova il senso della sua unità vero o sognata in questo movimento che poi anima i mestieri, ispira gli artisti, fa cantare i giullari» . “Questa marcia per Dio fa sentire un poco di quanto c’era di esaltante nella religione di allora, il suo appassionato desiderio d’infinito, la sua insofferenza dei limiti, il suo spingersi nell’avventura, la sua sfida alla morte, il suo temere la dannazione, la sua attesa del Giudizio” .
***
Una nuova forma di p. sono le Giornate mondiali della gioventù, istituite nel 1993-94, in occasione dell’Anno Santo della Redenzione (1950+33), da Giovanni Paolo II.
Il Papa convocò i giovani per celebrare con loro l’avvenimento ed essi risposero con entusiasmo e al di là di ogni aspettativa.
L’anno successivo l’ONU indisse l’Anno della gioventù.
La Giornata straordinaria (quella che si celebra ogni due anni) è determinata da alcuni elementi fondamentali: la convocazione, il messaggio del Santo Padre, l’arrivo alla meta, la catechesi, la veglia notturna di preghiera col Papa, la Messa.
Catechista è il Pontefice, catechisti sono cardinali e vescovi, che nel triduo illustrano i temi fondamentali della fede. “La parola di Dio ne è centro, la riflessione teologica strumento, la preghiera rinforzo, la comunicazione e il dialogo lo stile” .
Da questi raduni il giovane torna a casa rinfrancato nella sua esperienza di fede che lo aiuta a trovare le risposte ai suoi quesiti esistenziali. Era importante, dopo la caduta del muro di Berlino, orientare il mondo giovanile
verso Gesù e alla consapevolezza di sentirsi di stare nel cuore di Dio.
E’ così scoppiata una nuova voglia di pellegrinare, di mettersi in cammino con la passione della ricerca, della penitenza, del viaggiare in cerca di Dio per riscoprire se stessi e spendersi per gli altri in un itinerario di conversione e di comunione.
Nelle Giornate, soffuse di grande suggestione, animate da canti struggenti e dalle celebrazioni, c’è un forte richiamo alla spiritualità, arricchita dalla fede corale di un popolo proiettato, moderno pellegrino, sulla strada dell’evangelizzazione e dell’incontro con le antiche culture del mondo e la presenza di Dio in esse.
Momenti insostituibili di questo p. giovanile sono la partenza, il viaggio, la meta, il dopo. E’ ovvio che prima di partire occorre guardarsi dentro, interrogarsi per sapere cosa spinge a farlo. Bisogna spogliarsi di quanto abbiamo di appiccicaticcio, essere leggeri e liberi e disposti a mettersi costantemente in discussione. Il viaggio è, chiaramente, faticoso; la meta, quasi sempre un santuario, si può raggiungere anche in maniera comoda ma la “fatica” è elemento indispensabile alla riuscita del p.. Sul posto “il clima di preghiera e di festa, lo spirito di condivisione e di fratellanza rendono presente il Signore” .
E’ importante quello che segue al triduo. Tornando nei luoghi abituali, se il raduno non ci è scivolato addosso come gocce di pioggerellina estiva, non saremo più gli stessi: l’entusiasmo è cresciuto, la fede rinnovata e fortificata, forte il desiderio di testimoniare la gioia dell’esperienza maturata, maggiore disponibilità ad annunciare la parola di Dio, convinti anche che “Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna” (Matteo, 19,29).
La vita, il dono più prezioso che Dio ci ha fatto, e la storia dell’uomo sono costellati «di pellegrinaggi perché da sempre l’umanità si trova di fronte all’arduo compito di decifrare l’enigma dell’esistenza umana e il senso delle vicende storiche. I pellegrinaggi religiosi testimoniano in modo particolare quanto sia necessario all’uomo camminare sulle strade del mondo e lungo i sentieri della storia per arrivare al cuore della vita e per accogliere quel regno dei cieli che Gesù indicava come la meta ultima di ogni ricerca umana: “cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt 6,33).Il pellegrinaggio è sempre legato alla ricerca di senso e della verità, al desiderio di beni spirituali, al bisogno di cambiamento e di conversione» .
***
Un evento che merita una riflessione particolare è il p. alla basilica-santuario di S. Antonio di Padova, per i patavini semplicemente “Il Santo”. E’ un fenomeno che nel corso dei secoli s’è mantenuto costante e non per nulla Antonio, assieme a Francesco, è il nome più diffuso del pianeta.
Gli “amici” del Santo, con i Veneti in testa, provengono da tutte le parti del mondo. Gli esteri vedono in testa i Tedeschi, seguiti da Spagnoli, Austriaci, Francesi, Inglesi, Americani; recentemente a loro si sono aggiunti pellegrini provenienti dagli ex-paesi comunisti: Polacchi, ex-Jugoslavi, ex-Cecoslovacchi, Ungheresi. Tra le regioni italiane, escludendo il Triveneto, primeggiano Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Lazio.
Per dare idea della grandiosità dell’evento basta citare alcuni numeri riferiti all’ultimo ventennio del secolo appena trascorso. Una media giornaliera di più di 60 gruppi, 68 messe quotidiane, più di 160.000 confessioni in tutte le lingue, più di 800.000 comunioni annue e tutto ciò in fase d’espansione. La media annua di presenze a fine ’94 ha toccato la cifra di circa 6 milioni di persone.
La presenza di un numero sempre crescente di Giapponesi ci induce a porci qualche domanda, legata al cosiddetto turismo religioso, per il quale non sappiamo dove finisca la curiosità del visitatore e dove cominci la devozione del pellegrino. Se è vero che nelle chiese sono custodite delle preziose opere d’arte con autentici capolavori che richiamano l’attenzione anche dei non credenti, è anche e soprattutto vero che il fascino del “Santo” non conosce confini di stato o religioni. Ci troveremmo dinanzi a due S. Antonio: da una parte il santo che fa i miracoli e al quale ci si rivolge con fiducia, dall’altro l’Antonio della storia, dottore della chiesa, riformatore e protagonista del suo tempo.
S. Antonio, che è anche il santo patrono del mio paese, Cianciana (AG), ha subito un processo di “idealizzazione parentale” (A. Vergate), figlio per alcuni della cultura contadina. Se l’aggettivo contadino a qualcuno può apparire riduttivo, rispondo rifacendomi all’adagio popolare “Contadino: scarpe grosse e cervello fino”!
La devozione verso il Santo è genuina, sincera e non può prestarsi a manipolazioni; basta recarsi a Padova e constatare come la gente si avvicini alla sua tomba, al suo altare. Essa è convinta che Lui sapesse (e sappia) leggere nel cuore umano, che era umile, buono, grande paladino della verità.
Dall’identikit del pellegrino antoniano, molto spesso giovane, emerge che si tratta d’una persona d’età varia, con un titolo di studio medio e con una cultura medio-alta, che percepisce il Santo come presenza viva, concreta, attento ai bisogni materiali e spirituali della gente e, perciò, un santo per tutti.
A Sant’Antonio ci si rivolge per pregare, per essere vicini al Signore e migliori; gli si chiede di diventare più solidali e amare di più, di cambiare vita e ritrovare il senso dell’esistenza.
“Il visitatore medio assegna importanza fondamentale alla preghiera e va a messa più della media dei battezzati” e considera la confessione una riconciliazione con Dio attraverso il riconoscimento dei propri errori.
L’iconografia rappresenta il Santo con volto giovanile, come un angelo, col giglio (simbolo di purezza), il libro (Antonio era, ripetiamo, un dottore della Chiesa) e con in braccio Gesù Bambino perché insegna agli uomini ad amarlo. Altri simboli meno comuni sono il fuoco (d’amore per Dio), le mani al petto (in segno di preghiera. A Sant’Antonio, nel mio paese protettore anche dei “picciotti schetti” (celibi e nubili), ci si rivolge perché ci insegni ad amare il prossimo, ci aiuti a consolare gli afflitti e chi è povero, ci illumini nello smarrimento, ci dia la forza di superare le avversità della vita, rinvigorisca in noi la fede e l’amore verso Dio e la Madonna. “Sant’Antonio per il suo devoto si configura come buon fratello maggiore, un amico fraterno e fidato, con il quale si cammina assieme per i sentieri della vita. Ciò che Antonio è stato nella sua esistenza terrena è garanzia e caparra del suo ruolo e della sua funzione attuale, del suo dialogo personalizzato con gli uomini concreti che egli ama e che si sentono a lui presenti anche senza bisogno di parlarsi in modo esplicito o formalizzato” .
***