PREFAZIONE di Giuseppe La Rosa
In questa raccolta di poesie e brevi racconti, scaturisce tra le righe poetiche una volontà, una forza interiore che tenta di cogliere verità profonde, di recuperare le origini, la stagione della gioventù, i luoghi della fanciullezza, il ricordo e il lascito delle persone conosciute nel corso della vita. Le percezioni, a volte istintive e altre volte maturate con il substrato della conoscenza interiore, sono molteplici e spaziano da una malinconica nostalgia per il paesaggio siciliano lasciato precocemente per motivi professionali, al turbinio di sensazioni piacevoli generate dalla convivialità, al bisogno affettivo di sentire vicine persone care che sono fisicamente distanti, ai ricordi della remota infanzia, alle esperienze del presente.
Negli scritti di Francesco Taormina traspare una grande ricchezza sentimentale. Belli sono i versi: “Cara fanciulla dagli occhi discreti /tristi del canto d’un tempo che fu /il colore del cielo avevi sul viso /che Dio ti donò per breve virtù…” e belli anche i versi “Il tuo sguardo taglia il cielo /mia dolce amica dagli occhi di miele /le dita tue sfiorano la pelle /senza tocco del tuo verbo d’amore”. In essi la vena poetica dimostra oculatezza e ritrae soggetti luminosi quasi da fare credere di poterli vedere attraverso gli occhi del poeta.
Le poesie evocano luoghi e sensazioni permeati dal tempo trascorso e dai sentimenti dell’autore, ma la loro presenza è quasi tangibile: “Mi volgo alla croce /seduto sopra d’essa /mirando e rimirando /ad occhi chiusi quello /che m’appartiene dentro l’anima”, ed ancora: “È difficile riprender via /le figure lente trattengono, /inseguono te con noi /per uscire dal passato”. Bellissimo è l’incipit della lirica “Arena Belvedere”: “Dietro il cespuglio delle ginestre /s’aggrappava il mare, nascosto e /affiancato dal fantastico respiro. /Era lì, a due passi, dietro i colli /che arrivano sino le nostre case. /Smisurata idea di un sentiero /che non esiste, ma c’è…”.
I racconti assumono, in taluni punti, connotazioni fantastiche frutto di ricordi di gioventù filtrati e ricomposti dalla vivace semplicità di cui sono capaci gli occhi di un giovane, mentre altre volte la narrazione diventa riflessiva. È il caso, ad esempio, de “Il cavaliere Guadagna” dove l’autore presenta la passeggiata domenicale del cavaliere e della sua asina. La compagna del cavaliere era Giuseppina: “l’essere” per eccellenza. Qualcuno potrebbe sollevare dei dubbi sulla capacità comunicativa di un’asina ma alla domenica il cavaliere la bardava, la rendeva a modo suo attraente. Per fare questo le annodava delle strisce di seta di tanti colori sul collo, sulla coda, sulla sella, sulle bardature della bocca. Poi percorreva con essa tutto il corso cittadino senza mai salire in groppa. “Le lanciava sguardi d’intesa, le sorrideva, le faceva l’occhiolino. Lei di contro rispondeva calando il capo, faceva varie mosse di testa, a seconda di ciò che lui le chiedeva, essa rispondeva”.
Più avanti, nello stesso racconto descrive la chiusura a Cianciana dell’Arena Belvedere e, in qualche modo, la perdita dell’innocenza originaria: “Slegarono i teloni bianchi dalle travi di legno e iniziò un’altra storia: finì il vissuto, per dare inizio al racconto, ma il racconto è già in errore, per quanto fedele possa essere, manca della diretta percezione dell’essere”.
C’è nel poeta Taormina la ricerca di qualcosa di più profondo e vero, il bisogno di andare alla radice di se stesso per ristabilire un’autentica relazione con le cose e con i suoi simili: ciò che per lui e per noi ha contato davvero è lo strumento di tale ricerca.
Egli lo fa perché la sua ispirazione lo porta ad utilizzare parole che, invece di appartenere all’ordine della comunicazione pratica, vogliono esprimere innanzi tutto una condizione particolare dell’animo. La comunicazione poetica appartiene quindi alla sua condizione umana; tuttavia desidera trasmettere il contenuto in maniera diversa da come si procede nella vita di tutti giorni: prima ancora di “comunicare”, egli vuole “esprimere” uno stato individuale di turbamento, di alterazione, di commozione o di tendenza al gioco, di pena o di gioia attraverso lo strumento della lingua. Da una parte c’è l’aspirazione di trasformare il linguaggio, lavorarlo e giocarci, dall’altro quella di affrontare la parte oscura, sotterranea di se stesso e della propria psiche, o anima, e di portarla alla luce. Ogni poesia, ogni racconto è anche un dialogo con la componente nascosta, segreta di sé, un viaggio nel suo mondo. In “Dialogo sulla poesia”, Friederich Schlegel scrive che “la ragione è una, e in tutti la medesima. Ma ogni uomo, proprio come ha una sua natura e un suo amore, porta in sé una poesia a lui peculiare, che deve e non può che restare sua, come certo che egli è quello che è, che qualcosa di primigenio si cela in lui da sempre”. Ma, se scrivere poesia è il tentativo di rispondere alla verità di se stessi attraverso un percorso di rielaborazione dei propri ricordi e dei propri sentimenti, la lettura dell’opera altrui è il modo di espandere il proprio universo attraverso l’apporto di un universo altro. Un’operazione che ci avvicina e ci completa. Diamo inizio con animo aperto al “viaggio” interpretativo delle parole di Francesco Taormina.
Giuseppe La Rosa