Percorso artistico della memoria

visione dell'arte come testimonianza d'epoca

In una società che s’è smarrita in un mare d’abbondanza e dove, nonostante la più moderna tecnologia, nessuno – soprattutto la gioventù, sorda e miope – più comunica ignorando la memoria di ciò che siamo e siamo stati, opere come quelle di Dino Vaccaro, alcune raggruppate in questo catalogo, ti riconciliano con questo sconquassato tempo e ti fanno riappropriare, meditando, delle tue radici e della tua identità.
Quella di Dino per le arti figurative è una passione antica, ha avuto un’evoluzione lenta ma sicura, passando con caparbietà ed eclettismo dalla fotografia al pennello, rivelando, come sottolinea Pietro Arfeli, impegno, amore e maestria mentre le pennellate, seppure decise e cariche di colore, conferiscono semplicità e candore alle opere.
Come evidenziato anche da altri amici critici (A. Chiazza, M. Vilardo, A. Dubois, F. Taormina, G. D’Angelo, M. Caramazza, Marilisa Linn, Rosamary, A. Cicchirillo), le tele dicono d’un animo sensibile e semplice, d’un carattere solare affascinato dalla luce, d’un amore viscerale per la pittura, che si manifesta nello stile che più gli è congeniale (naif) e lo proietta verso più ampi e ambiti scenari.
La produzione, che fa trasparire le sue origini siciliane, è anche la denuncia sociale di mali antichi (emigrazione, sfruttamento, incuria, abbandono) e moderni (pandemia) di una comunità, di un’umanità dolente che, tuttavia, non riesce a rassegnarsi e la vivacità cromatica del Maestro grida che la speranza ha sempre “fior di verde”, che la vita è bella e va vissuta per quel dono meraviglioso che è.
I soggetti sono molto eloquenti e inducono a riflettere, come il colore che, con la sua luminosità, non intende dare risalto all’immagine colpendo gli occhi ma spingerti alla meditazione.
Quanti si approcceranno alle tele di Dino non potranno non rimanere emozionati e increduli dinanzi alla rappresentazione delle sofferenze dei contadini, dei carusi e dei minatori di “Carnàla” e di “Dalla pirrera a Charleroi”, alla drammaticità di “Shoah-L’olocausto”, alla levità di “Parkinsonia”, alla sete di giustizia e aria pura che promana “Rosa di Sicilia” e così via.
Complimenti, Maestro, e grazie sempre!

Eugenio Giannone

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