Una strana festività
In quei giorni non feci altro che ascoltare, riuscii solo a dire se non alcune parole. Ascoltavo ogni cosa, e soprattutto cercavo di vivere, di percepire tutto così, come avveniva nella sua realtà. Un tempo tremendo e freddoloso ci accompagnò per i cinque giorni, dove la campagna con i suoi fiori e colori s’attardava al risveglio.
Colui che maggiormente ascoltai fu lo zio falegname, che m’introdusse in cose che non sapevo e che mai prima modo ebbi di fruire e godere nella loro pienezza.
Dopo quaranta cinque anni andai a vivere una strana festività, e con me, non potevano mancare coloro che mi sostituiranno, perché dovranno anch’essi sapere. Fra di loro c’erano gli occhi di
un’altra avventura.
<<Ho già costruito il mio “tabbuto” (in arabo tabout è la bara), tutto in mogano, rosso, di quello vero. Non finto come talune industrie vogliono farci credere. Ai lati ho intarsiato delle candele bianche che faranno una luce accecante; al mio momento me ne andrò, e arrivato da Caronte resterà stupefatto nel mirare con quanta maestria è stato costruito. Poi, attraversato il fiume, arriverò davanti al cane a tre teste che abbaierà fino a quando non lo sentiranno dalla valle dello Jato, alla valle dei templi. Guardalo… è maestoso. Mogano …quello vero.
Avevo scolpito il bastone del santo, ma quello è d’ulivo, lo usa per camminare in corteo per tutto il periodo festivo.
Cent’anni addietro mio nonno inaugurò questa presentazione, allora i falegnami erano nutrita categoria e i “tabbuti” erano costruiti con le nostre mani a sculture. Si dice che un giorno arrivò la tributaria per il computo dei morti e “tabbuti”, ne mancò uno all’appello, ma mastro Maddì assicurò tutti che la salma fu portata a “braccetto” (sottobraccio) dai suoi familiari fino al camposanto. Questa è festa dei poveri, noi prendiamo davvero i più malandati, li vestiamo da santi, li innalziamo, diamo loro delle tavole (altari) con tutto ciò che l’intero paese può offrire. Si infornano dei pani come sculture, le aquile reali a due teste ad indicare i due poteri, formate da mandorle e pistacchi con miele e caramello. Poi tanti cuori di mandorle……quelli forse sono in
eccesso. Da tanti anni c’è il solito che per giorni pulisce le verdure; la solita che prepara le aquile a due teste, i soliti che impastano il pane scolpito. Come ogni anno tutto avviene in corteo e si danza con la mente, i tamburi davanti, che dettano il ritmo, la banda in fondo che alterna le marce. Si raccolgono denari per le vie del paese bussando porta a porta, quelli che resteranno saranno dati ai poveri. Qui il santo falegname è forse la figura che nelle festività emerge, perché è un lavoratore, e di lui a ben pensare, non ricordo molti miracoli.
Ora, dopo cent’anni, siete venuti tutti voi. Siete arrivati da ogni parte, mi chiedo se è davvero possibile che la memoria d’un vecchio morto prima del secondo dopo guerra, oppure la centenaria ricorrenza di una festività, siano i motivi di questa vostra venuta. Penso oltremodo, per non esser da voi stessi sconfessato, ciò che qui vi ha portato è la vostra appartenenza. Voi tutti siete partecipi della parola che voi stessi avete dato; in essa portate l’esperienza dei vostri modi di vivere, che con la stessa parola data è ormai oblio e memoria. Il descriverla diviene mito, racconto, oppure ciò che tutti sanno; in realtà non sanno del vissuto, quello è indescrivibile, si vive e basta. Ecco il vero motivo per cui ora siete qui, per vivere la vostra stessa promessa, affinché diventi mito, racconto per quelli che dopo di voi verranno e come voi vivranno il significato di memoria.
Ancor oggi, e tu l’hai visto, i santi bussano per ben tre volte prima d’essere accolti al “fondaco”, ma i cavalieri possidenti e ricchi con sigari cubani tra i denti, anch’essi chiedono asilo. Così ancor oggi, continuiamo a mandar fuori i santi, per far posto alle lucenti bardature dei destrieri dei ricchi possidenti terrieri. E’ così che finisce la festa, i santi sono scacciati, ma i denari che resteranno saranno dei poveri>>.
francesco taormina