Zolfatari e contadini nel canto di Alessio Di Giovanni

Zolfatari e contadini

nel canto di Alessio Di Giovanni

OLIO SU TELA 90 X 100

PIETRO ARFELI

Nel 70° anniversario della scomparsa di A.D.G.

Recensione di E. Giannone al Dipinto del M° P. Arfeli

Il quadro che oggi Pietro Arfeli offre alla Comunità ciancianese è una splendida opera che depone a favore del suo genio artistico-creativo ed è un omaggio al grande Alessio Di Giovanni e alla nostra città, di cui compendia la storia. L’opera è di facile lettura e per questo motivo cattura subito l’attenzione dell’osservatore.

In primo piano abbiamo il ritratto di un Alessio intento a sfogliare le sue opere, avendo in mano – nello specifico – il volume “Lu puvireddu amurusu”.

E’ un uomo ormai maturo, come testimoniano i capelli bianchi che, se sono segni di saggezza, indicano l’ineluttabile trascorrere del tempo con gli anni che si accavallano e che Di Giovanni aveva trascorso scrivendo poesie, romanzi, drammi che gli avevano dato notorietà universale.

Ad indicare la sua grandezza nel panorama letterario della prima metà del Novecento valgano il giudizio dell’illustre critico Luigi Russo, che lo definì “il più grande cantore degli umili d’Italia dopo il Manzoni”, e il fatto che Federico Mistral, francese, nel 1904 premio Nobel per la Letteratura, apprese il Siciliano per leggerlo in versione originale, come ha fatto più recentemente il prof. Taju Ambu dell’Università di Tokio.

Pietro Arfeli rende omaggio a questo grande cantore del feudo e della zolfara nel 70° anniversario della morte.

Alle spalle del Poeta la storia socio-economica del nostro Paese, che inizia proprio dalla casa dove egli nacque nell’ottobre 1872. Quel palazzo, “grande ed ampio come un convento”, in origine fu torre d’avvistamento e prigione ad indicare il potere civile accanto a quello religioso e nobiliare che aveva i suoi simboli in Piazza Matrice.

Per inciso diciamo che l’ultimo piano dell’edificio venne eretto nell’anno in cui nasceva il Poeta e che l’ingresso principale è adornato da uno splendido arco Tudor. Di questo tipo di arco esiste in Sicilia solo un altro esemplare, a Catania. Sempre sulla facciata principale lo stemma della famiglia Joppolo, fondatrice della città. Nel pianterreno del palazzo esisteva una taverna nella quale un oste, per conto di Gaetano Di Giovanni, mesceva vino, la sera, a quegli zolfatari che durante il giorno s’erano spezzati la schiena nelle sue miniere.

Sulla zolfara esiste una vasta letteratura per cui, in questa occasione, ne parliamo en passant, sottolineando come il lavoro in miniera fosse lesivo della dignità umana al punto che lo stesso Alessio ne cantò, con accenti drammatici e di viva compartecipazione, le sofferenze e le conseguenze esistenziali, definendo la zolfara “carnàla”, cioè carnaio, non di morti ma di vivi; egli, che pure allo zolfo doveva la sua condizione di agiatezza (almeno fino a quando durò)!

In primo piano, a sinistra, nella scena che riproduce il lavoro in zolfara, i carusi, quegli sventurati ragazzini, cioè, che le famiglie cedevano al picconiere per un tozzo di pane (il

cosiddetto soccorso morto) e che ben presto sarebbero apparsi, inesorabilmente, vecchi anche se in zolfara non s’invecchiava. Non c’erano vecchi in miniera!

Non meno pesante era il lavoro del contadino, che spesso invidiava lo zolfataro per il lavoro “sicuro”, mentre il suo dipendeva dai capricci del tempo e del padrone e doveva sempre fidare in una “buon’annata”.

I dettagli del quadro di Pietro rappresentano il ciclo del grano, dall’aratura alla mietitura, e la raccolta di altri prodotti.

Anche ai braccianti, agli agricoltori andarono le simpatie del Poeta perché ad essi spesso si accompagnava per le sue escursioni “a la campìa” e da essi e dai loro racconti attingeva per le sue composizioni.

La campagna infondeva nel suo animo una grande serenità perché conteneva l’impronta del Creatore, di Gesù Cristo e di San Francesco di cui era particolarmente devoto.

Nella parte alta del quadro il panorama di Cianciana, alla cui destra è ben visibile il Convento dei Frati minori riformati nel quale ambientò il romano in lingua siciliana “Lu saracinu”. Al centro e sulla sinistra ben nitidi il Calvario e la Matrice.

Comunque, bello, come si dice oggi, lo skyline della nostra Città, invidiata per la sua vivacità culturale e per l’innato senso dell’accoglienza dei suoi abitanti.

Una città che negli anni ha visto assottigliare il numero dei suoi abitanti per la chiusura delle miniere e per un’agricoltura negletta o scarsamente suffragata o produttiva.

Le amministrazioni che si sono susseguite alla guida della città hanno saputo curarla.

Ma forse tutt’insieme avremmo potuto fare di più, soprattutto a livello di infrastrutture che avrebbero potuto favorirne lo sviluppo, come quello del turismo relazionale odierno.

Tant’è! Verranno sicuramente tempi migliori, sempre col concorso di tutti.

Per tornare al quadro e concludere: Un vero capolavoro, dai colori stupendi, dalla sapiente e intrigante distribuzione delle figure, dalla riposante visione d’insieme; un grande affresco artistico, storico, fotografico, sociologico, economico, dalle forti vibrazioni, dal tono intenso e vibrante di un artista, Pietro Arfeli, che ringraziamo per questo splendido dono, alle cui performances dovremmo essere abituati ma che non finisce mai di stupirci.

Grazie, Maestro. (eugenio giannone)

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