Origini evoluzione

Origini ed Evoluzione

Risalire alle origini, ripercorrendo la storia di una lingua,  impresa assai ardua e, il più delle volte, non si riuscirà  a uscir fuori dal campo delle ipotesi. Tra le poche cose certe, possiamo dire senz’altro che la Lingua Siciliana è una lingua che appartiene alla grande famiglia delle lingue indo-europee e che negli ultimi nove secoli, nonostante mai sia divenuta “lingua di stato”, è stata usata con estrema continuità  dal popolo siciliano.

Le ipotesi

Nel corso degli anni sono state molteplici le ipotesi che gli studiosi hanno formulato circa l’origine e la formazione della Lingua Siciliana. Quelle che, per vari motivi, ci sembrano essere degne di attenzione e che noi, per opportunità, semplificheremo, sono le seguenti: Siciliano come lingua pre-esistente al Latino; Siciliano come lingua derivata dal Latino in tempi antichissimi, prossimi alla conquista romana dell’isola; Siciliano come lingua neo-latina o romanza; Siciliano come lingua sorta in seguito a un processo di neo-romanizzazione dopo la cacciata degli arabi.

Siciliano: lingua pre-esistente alla Lingua Latina

Secondo tale ipotesi, la Lingua Siciliana sarebbe stata parlata dalla maggior parte della popolazione dell’isola ben prima della conquista della stessa da parte dei Romani. Sarebbe una specie di evoluzione della Lingua Sicula e, attraverso processi evolutivi successivi di scarsa consistenza, si sarebbe trasmessa con continuità sino ai nostri giorni. Tale ipotesi è stata sostenuta con forza nell’800 da molti patrioti siciliani. Il Perez sostiene che “Il fondo indelebile del dialetto siciliano e le sue più essenziali caratteristiche sono dovuti a quei popoli di razza antichissima italiana passati in Sicilia avanti la fondazione di Roma”.

Questa ipotesi va spesso di pari passo con quella che vuole le lingue così dette “romanze” generatesi non dal latino, bensì da parlate più antiche dalle quali lo stesso latino si generò, diventando la lingua colta ma mai soppiantando nel popolo i vari idiomi a esso precedenti.

Siciliano: lingua derivata dal Latino poco dopo la conquista romana dell’isola

Questa ipotesi considera la Lingua Siciliana come lingua neo-latina ma prospetta, a differenza di quanto normalmente ritenuto per le altre lingue neo-latine, che il processo di passaggio dal Latino al Siciliano si sia completato non nel Medio Evo, bensì circa mille anni prima. Dopo la conquista romana della Sicilia, il Latino avrebbe preso l’avvento sulle altre lingue e, parlato nelle bocche dei Siciliani, sarebbe diventato Siciliano; un Siciliano non molto dissimile da quello di oggi.

Siciliano: lingua neo-latina al pari dell’Italiano

La Lingua Siciliana viene considerata una lingua romanza al pari dell’Italiano, del Francese, dello Spagnolo, del Portoghese, del Rumeno, del Catalano e di tutti quei dialetti o lingue (anche estinte) che sono derivate dal passaggio progressivo dal Latino a una lingua “volgare”, completatosi nelle linee più importanti intorno al periodo medioevale.

Siciliano: lingua formatasi dopo la cacciata degli arabi per un processo di neo-romanizzazione

Secondo questa ipotesi, formulata dal noto studioso tedesco Rohlfs intorno agli anni ’30 del secolo scorso, durante la dominazione musulmana l’arabo divenne la lingua del popolo siciliano, avendo soppiantato il latino, con l’eccezione della parte nord-orientale, dove si sarebbe continuato a parlare il greco.

Tale teoria, che sin dal primo momento non ricevette molto credito dagli studiosi, prendeva spunto dal fatto che il Siciliano (comprendente anche il dialetto della Calabria meridionale), a livello lessicale, appariva, agli occhi del Rohlfs, come il più moderno tra i dialetti meridionali “mancando del tutto di un fondo latino antico” (il Siciliano, rispetto agli altri idiomi meridionali, ha badagghiàri invece che “alàre” – lat. HALARE – ; testa invece di “capa” – lat. CAPUT – ; dumàni invece che “crai” – lat. CRAS – ; etc.). Da quì la deduzione che vi fosse stata una brusca interruzione della latinità in Sicilia a causa della dominazione araba e che il Siciliano fosse sorto non da un processo evolutivo continuo della lingua latina iniziatosi ai tempi della conquista dell’isola, bensì da un nuovo processo di romanizzazione cominciato in epoca normanna.

In seguito il Rohlfs ridimensionò notevolmente la portata delle sue affermazioni, attribuendole alla “ingenuità che è particolare alla vivezza giovanile”.

Cosa è verosimilmente accaduto

Ogni ipotesi così semplificata sopravvaluta un aspetto rispetto agli altri. L’opinione corrente è, comunque, più prossima alla terza ipotesi, arricchita da alcuni concetti moderni.

Innanzitutto bisogna aver chiaro il moderno concetto di lingua come qualcosa di non statico; la Lingua Siciliana, così come la maggior parte delle lingue attualmente parlate, è stata ed è una lingua in continua evoluzione alla quale hanno contribuito (e contribuiranno), in misura più o meno rilevante, una serie di idiomi parlati dalle popolazioni indigene e conquistatrici (in senso lato, quindi anche a livello di influsso culturale esterno, come quello esercitato attualmente nel mondo dalla Lingua Inglese).

In particolare si ritiene che l’influsso maggiore alla formazione del Siciliano sia arrivato dalla Lingua Latina nel senso che la stessa sia addirittura da ritenersi come base per il Siciliano stesso in quanto, con processo lento, si impose nell’isola ai precedenti idiomi che, però, contribuirono alla formazione della varietà regionale di Latino Volgare che, con un altrettanto lento processo, avrebbe portato, nell’età medioevale, a un idioma ormai distinto dal Latino, appunto, il Siciliano.
Quale Latino

Quando parliamo di Latino, prima di ogni cosa, dobbiamo essere coscienti del fatto che il Latino non fu uno solo, anche se l’insegnamento ricevuto a scuola ci ha potuto portare involontariamente a pensare ciò. Il latino che abbiamo studiato a scuola presenta delle caratteristiche particolari: innazitutto è un Latino dell’età classica; poi è un Latino da “gente colta”; per di più è un latino scritto.

Ma il Latino:

a) come qualsiasi lingua, ha subito una evoluzione, dei cambiamenti, nel corso degli anni;

b) parlato dal popolo, doveva essere abbastanza diverso da quello usato dagli uomini di cultura;

c) nella sua forma scritta, doveva differire non poco da quella parlata;

d) si differenziava anche a seconda del territorio.

Daltronde possiamo facilmente comprendere tali differenze se pensiamo a quelle che esistono tra l’Italiano del 1700 e quello attuale; tra l’Italiano che ascoltiamo nei convegni culturali e quello che possiamo captare in un quartiere popolare (sempre che non sia dialetto …); tra l’italiano che noi stessi parliamo in famiglia o con gli amici e quello che leggiamo sui libri; tra l’italiano di Lombardia e l’italiano di Sicilia.

Il Latino che arrivò in Sicilia in seguito alla conquista romana, vi arrivò con un processo senz’altro lento e lungo.
Lingue di sostrato

Quando si impara una lingua straniera (tale sarà stato lo status del Latino all’inizio della colonizzazione romana della Sicilia) si tende a introdurre in essa dei tratti tipici della propria lingua madre; ciò porta a un cambiamento parziale dei suoni, del lessico e della grammatica. Tale processo è in gran parte all’origine e spiega la maggior parte delle divergenze tra le varietà di latino parlate nelle diverse provincie dell’Impero Romano che poi avrebbero dato luogo alle diverse lingue romanze, a causa anche di influssi posteriormente pervenuti, soprattutto in seguito ad invasioni di popoli parlanti altri idiomi (superstrato). A tal proposito risulta interessante, innanzitutto, analizzare quali popolazioni e quali relativi idiomi (sostrato linguistico) erano presenti o erano stati presenti nell’isola prima della conquista romana.

Partendo dai tempi remoti, possiamo dire, attenendoci alle fonti storiche, che i primi idiomi parlati in Sicilia sarebbero stati il Sicano, il Siculo e l’Elimo; furono questi i primi popoli che, all’alba della storia, abitarono l’isola. Non bisogna però dimenticare, in un periodo ancor anteriore, un certo influsso egeo.

A quanto pare il Sicano e l’Elimo, di cui si sa ben poco, non erano idiomi indo-europei, anche se la questione a tal proposito è molto controversa. Il Siculo, invece, era una lingua di origine indo-europea, molto imparentato con il latino, come traspare dalla più lunga iscrizione in Siculo, risalente al V sec. a. C., trovata a Centuripe in un askos (vaso schiacciato), oggi conservato al museo archeologico di Karlsruhe (Germania), o dalla famosissima iscrizione incisa su un blocco di arenaria murato sul lato est del vano di ingresso della porta urbica meridionale della città di Mendolito e disposto in due righe ad andamento, anche questo, sinistroso (è l’unica epigrafe sicula di natura pubblica finora conosciuta, il cui testo è ancora di controversa interpretazione e databile alla seconda metà del VI sec. a.C).

Ben presto (1000 a.C. circa) nell’isola (costa occidentale) si parlò anche il Fenicio, lingua semitica, anche se la presenza fenicia in Sicilia ebbe sempre carattere sporadico di insediamento commerciale limitato più che di vera e propria conquista di territori estesi. Comunque, intorno al 400 a.C., l’arrivo nell’isola dei Cartaginesi dovette ridare un certo vigore alle parlate semitiche.

In seguito, a cominciare dall’anno 735 a.C., data di fondazione di Naxos, la prima colonia greca in Sicilia secondo Tucidide, si introdusse nell’isola anche la lingua Greca con la venuta di genti dapprima dall’Eubea (Calcidesi, quindi, di stirpe e dialetto ionici), poi da altre parti della Grecia (soprattutto genti di stirpe e dialetti dorici) che si stanziarono principalmente sulle zone costiere della parte orientale.

E’ questa la situazione linguistica che troveranno i Latini al momento della loro conquista della Sicilia, cominciata nell’anno 264 a.C. e giunta a termine nel 241 a.C..

Situazione linguistica nella Sicilia pre-romana

Influenza delle lingue di sostrato sul Latino di Sicilia

Escludendo gli influssi della lingua Greca (notevoli, anche se rimane difficile da stabilire quali provenienti da un’epoca pre-romana) e premettendo che, ancor più che altrove, in questo campo si può null’altro fare se non ipotizzare partendo da pochissimi dati certi, ci si può azzardare a dire che:

– la pronuncia cacuminale (lingua contro il palato anziché contro i denti) degli antichi gruppi latini in -ll- (passati a -dd- in Siciliano) e quella dei gruppi -str- e -tr-

– la forte palatizzazione del tipo chiù e del tipo xiuri

siano dovute ad un influsso delle lingue mediterranee non indo-europee.

Sul piano lessicale si può ipotizzare che i seguenti termini rappresentino un’eredità del sostrato mediterraneo: alàstra (calicotome infesta o spinosa – pianta delle leguminose simile alla ginestra -, pianta spinosa), ammarràri (munire di argini un luogo per difenderlo da inondazioni), calancùni (onda di fiume), calanna (scoscendimento, frana di rocce di un fianco montuoso, terreno in forte pendio), carrivàli (roccia rossastra), limàrra (terra intenerita dall’acqua, melma, fango). Inoltre lavànca (luogo scosceso e sdrucciodevole, frana, dirupo) dovrebbe essere, per il suffisso -anca, un termine pre-latino ed è presente anche nell’antico provenzale “lavanca”. Infine, dovrebbero essere d’origine sicana alcuni toponimi terminanti in -ara (Hykkara, Indara, Makara).

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