La peste e gli untori nella Palermo del XVII Secolo

LA PESTE E GLI UNTORI NELLA PALERMO DEL XVII SECOLO

(La vicenda esemplare del medico Demetrio Sabaziano)

Secondo i resoconti dell’epoca, nell’anno 1623, alcuni marinai, liberati dalla schiavitù e provenienti dalla Tunisia, portarono la peste in Sicilia.

Con una vetusta imbarcazione attrezzata per la pesca d’altura, i naviganti sbarcarono prima a Trapani e poi a Palermo, città dove ben presto si manifestò per la prima volta il flagello terribile della peste bubbonica che si estese rapidamente in tutta l’isola.

L’ignoranza, i pregiudizi, la malnutrizione e la miseria del popolo sono da ritenersi le cause principali dell’estensione e della durata del morbo. In tutta la Sicilia, con il dilagare della malattia, si organizzarono numerosissime processioni religiose che, riunendo illesi e infetti, servirono ottimamente alla diffusione e alla persistenza della peste.

All’inizio del 1624 il senato palermitano, pressato dall’urgenza, ordinò che fossero chiamati nella città i migliori medici che si potessero reperire, a qualsiasi costo e da qualsiasi luogo. Fu così rintracciato un noto medico ateniese, Demetrio Sabaziano, che giunse in Sicilia allo scopo di curare gli appestati e, se non fosse stato possibile fare scomparire la malattia, almeno per arginare il dilagare del morbo. Il medico fece la sua parte con impegno e dedizione.

Il 15 luglio dello stesso anno, in una grotta del Monte Pellegrino che sormonta il capoluogo siciliano, vennero ritrovati dei resti umani che il cardinale Giovanni Doria attribuì a Rosalia Sinibaldi, fanciulla di nobili origini morta in odore di santità alla fine del dodicesimo secolo. I poveri resti vennero collocati all’interno di un’urna e portati in solenne processione per le vie principali della città. Il popolo, riunito in gran numero, e le autorità religiose e civili pregarono affinché la peste avesse fine. Il medico Sabaziano, per l’occasione, dichiarò pubblicamente che la promiscuità di un tale numero di persone avrebbe aumentato la diffusione della peste e che solo separando gli appestati dai sani si sarebbe potuto evitare il dilagare della malattia.

 

Lentamente, nei due anni successivi, i commerci vennero riattivati e, nelle campagne, i contadini ricominciarono a produrre grano, ortaggi, frutta e ad allevare animali da macello, ma il tutto in maniera inferiore al reale fabbisogno.

Gli effetti mortali della peste si affievolirono e il popolo palermitano gridò al miracolo. Il papa Urbano VIII, avuta notizia di quanto avvenuto a Palermo, canonizzò Rosalia.

Intanto, quelli che avevano avuto dei lutti, ed erano molto numerosi, nutrivano propositi di vendetta contro gli “untori”, uomini e donne che attraverso suffumigi, pratiche magiche e strane miscele con le quali ungevano le porte dei predestinati a finire di peste, secondo la fantasia popolare avrebbero diffuso il morbo ed ucciso di fatto molte migliaia di persone.

Di “untori” durane l’infuriare della malattia se ne erano trovati molti e quasi tutti erano stati sommariamente giustiziati dalla folla irata. Si trattò soprattutto di mendicanti, di riconosciute fattucchiere, di prostitute e di contadini ed operai spesso miserabili e ignoranti.

Demetrio Sabaziano aveva una casa al centro di Palermo e molti componenti delle classi abbienti lo raggiungevano nella sua dimora per cure mediche. Anche il vicerè Antonio Pimentel, marchese di Tavora, ebbe occasione di recarsi a casa del medico notando i molti bracieri disposti nelle varie stanze. Dobbiamo ritenere che il medico ateniese li usasse durante l’inverno per riscaldare gli ambienti della casa, ma il vicerè interpretò quelle presenze in maniera diversa.

Pimentel accusò Sabaziano di essere uno dei capi degli untori isolani e fece deliberare dai magistrati di Palermo la morte del povero medico.

La sentenza, con grande concorso di popolo, di aristocrazia e di clero, fu eseguita per impiccagione nel novembre del 1626.

Demetrio Sabaziano, abilissimo medico e insigne uomo di scienze, fu così un’altra illustre vittima della superstizione, dell’ignoranza e della irriconoscenza umana.  

 

ALTRI ARTICOLI

CONDIVIDILO