RICORDI 3 di Angela Chiazza

 

In ogni paese ci sono persone  che, per qualche strana alchimia, sono conosciute da tutti ed esisteranno sempre nel racconto di chi li ha incrociati, anche per poco, sul proprio cammino. Resteranno sepolte e  vive,  rimarranno come chiese, case o vie nella storia di quel luogo. Basterà citarle per paragonare la loro vita ad altri nella buona o nella cattiva sorte. Come meafora, i loro nomi, i loro visi,  saranno presenti sempre tra dicerie e realtà, tra leggende e verità.In ogni paese c’è né uno, o forse più di uno.

Alcune, io le ricordo così, come figure d’altri tempi. Due sorelle, una dalla figura esile, vestita sempre di scuro, austera nel suo aspetto, mai senza calze neanche in estate, mai senza braccia scoperte, con i capelli raccolti in una crocchia bassa sopra la nuca, con le caviglie ossute su scarpe antiche; l’altra più piena, con un taglio di capelli da bambina, con una corta frangia sulla fronte e due mollette a fermare le ciocche dei capelli chiari dietro le orecchie. I suoi vestiti erano di colori smunti e il modello ricordava quello dei vestiti dell’infanzia, con il colletto di pizzo e i bottoni di madreperla rigorosamente chiusi nelle asole fino al collo, la cucitura alla vita si allargava sulla gonna, lunga alla caviglia, con delle pieghe verticali, le calzette erano corte e le scarpe anch’esse un po’ da bambina. Anche gli occhiali completavano quell’aspetto di attempata adolescente.
Erano due di quattro figli di un noto professionista del paese. Malgrado l’importanza della famiglia all’interno del paese, nessuno, tranne il maschio, come si addiceva a quei tempi, aveva intrapreso gli studi.  La maggiore voleva diventare suora, ma non prese mai i voti. Oltre ad occuparsi della casa, quest’ultima si curava dell’altarino non facendogli mancare mai fiori, lumini e preghiere. Le altre due si occupavano di commissioni all’esterno. Come in una gerarchia cucita su misura al loro carattere, ogni persona in quella casa aveva un suo compito preciso, e tutti insieme si occupavano della madre sofferente di malinconia.
Io ricordo, solo le ultime due,  camminavano sempre insieme per le strade del paese, per recarsi alle funzioni religiosi e per qualche incombenza, con gli occhi verso il basso, timide e riservate nell’andatura e nello sguardo.
Proprio questo le distingueva, questa grande ritrosia, questa infinita  insicurezza, questo gigantesco timore. Erano cresciute, forse, con un padre rigoroso e geloso,  che le amava così tanto da chiuderle al mondo e alla vita. O forse era la malinconia della madre che, occupando tutto il loro tempo, aveva finito per rubare tutti i loro sogni e fagocitare tutte le loro età. Per questo la maggiore aveva assunto un aspetto austero e la piccola aspettava ancora di oltrepassare la pubertà.
Io le ricordo con i miei occhi da piccina. Le seguivo con lo sguardo fino all’angolo della strada, affascinata da queste due creature uscite, secondo la mia immaginazione da un libro dell’Ottocento. Camminavano e i loro piedi, malgrado i ciottoli, non facevano rumore. la loro testa si alzava ed abbassava per indicare un cenno di saluto, le loro labbra si schiudevano per ossequiare ma il suono era impercettibile e le loro guance si coloravano di un rosso vermiglio. Io immaginavo il suono della loro voce ma non l’ho mai sentita.
Mi piacevano e ogni volta che le vedevo intrecciavo nella mia mente strane storie su di loro. Le immaginavo in una enorme casa, dalle grandi stanze che si susseguivano,  illuminate da finestroni sempre ombrate dalle persiane e dalle tende di stoffe pesanti e trasparenze di lino che, di tanto in tanto, regalavano un raggio di timido sole che si rifletteva sui pavimenti di maioliche usurate dal tempo e dal calpestio.
Immerse nel silenzio scandito solo da rumori e vocii esterni, le vedevo aggirarsi nei riti e nelle confidenze con il loro mondo con una sicurezza che era esattamente l’opposto di quella che le  distingueva tra la gente del paese.
E, in quella certezza, mi sembrava di sentire le loro voci, adesso chiare, che fin dalle luci del mattino si scambiavano ordini, raccomandazioni e consigli e poi la sera ancora più sicure nella complicità della notte, chiuse nelle loro stanze, nei loro letti, confidenze, sospiri, lacrime, sogni  e  illusioni, che il tempo poi tiranno avrebbe incastonato per sempre in un angolo sepolto della mente o in una grinza della pelle avvizzita.. Chissà se il loro cuore aveva mai battuto per amore, se avevano mai avuto voglia di scappare e respirare aria nuova, se avevano mai avuto voglia di strappare quel vestito mal cucito  dalle bocche del paese.
Come personaggi usciti da un libro di Pirandello, custodivano  tante verità, ognuna delle quali rimaneva intrappolata nelle immagini che tutti avevano di loro e che sicuramente erano diverse dal loro essere.
Ormai per sempre rimarranno nella mente del paese come persone chiuse e i loro nome ritornerà a risuonare nel presente ogni volta che una mamma dirà ai loro figli di essere spronti nella vita, affrontarla senza paura, di non essere come le figlie di……………………………………

 

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