Il Fenici, tra storia e leggenda

 

Nel trattare la preistoria delle genti presenti nel bacino del Mediterraneo occorre dare un particolare rilievo all’influenza dei Fenici. Essi infatti tennero un atteggiamento molto differente da quello degli altri popoli, vennero per commerciare e non per assoggettare e resero note alle popolazioni autoctone importanti scoperte tecnologiche. Inoltre, cosa d’estrema importanza, portarono con loro ed insegnarono l’uso di un rudimentale alfabeto.
I FENICI DESCRITTI DA TUCIDIDE E DIODORO SICULO
A parlarci dei Fenici in Sicilia sono stati gli storici Tucidide e Diodoro Siculo, le cui affermazioni hanno avuto ampli riscontri nelle rilevanze archeologiche. Si riportano i seguenti passi: “Abitarono poi anche i Fenici tutte le coste della Sicilia, avendo occupato i promontori sul mare e le isolette vicine, a causa del commercio con i Siculi. Ma quando poi gli Elleni in gran numero vi giunsero per mare, lasciata la maggior parte (dell’isola) abitarono a Motya, a Solunto e a Panormo, vicino agli Elimi, avendoli confederati, fidando nell’alleanza degli Elimi e perché, da quel punto, Cartagine dista dalla Sicilia di una brevissima navigazione” (Tucidide – VI, 2, 6); e anche: “E così, per questo commercio (praticato) per molti anni i Fenici, avendo acquistata molta ricchezza, mandarono molti gruppi di coloni, alcuni in Sicilia e nelle isole vicine, altri in Libia, in Sardegna e in Iberia (penisola iberica)” (Diodoro – V, 35, 5). I Fenici dunque, in un primo periodo, si stanziarono sulle coste della Sicilia grazie al fiorente commercio intrapreso con la popolazione dei Siculi e, con l’arrivo dei Greci, abbandonarono quasi tutta l’isola per ritirarsi nella parte nord-occidentale. Tucidide afferma anche che questo spostamento dei Fenici fu volontario: dovuto ad accordi con i Greci i quali necessitavano di territori per costruire centri abitati per le genti che ivi si erano trasferite dalla madrepatria. Evidentemente, gli accordi favorirono i Fenici nei loro commerci: essi infatti tennero solamente la gestione di scali commerciali e continuarono ad operare in Sicilia.
PROVENIENZA ED INTERESSI DEI FENICI
I Fenici provenivano da un territorio, oggi il Libano, situato sulle sponde del Mediterraneo orientale. Nella loro terra d’origine, essi ebbero il periodo di massimo splendore commerciale e culturale tra il XII e il IV secolo a.C.. I Fenici furono un popolo di mercanti e navigatori senza mire di conquiste territoriali. I loro obiettivi erano sostanzialmente di natura economica e tracce della loro presenza si possono trovare in tutto il bacino del Mediterraneo e persino oltre lo stretto di Gibilterra. È stato provato che ebbero capisaldi commerciali anche nelle isole britanniche.
LE COLONIE FENICIE  
Col prosperare dei commerci, i Fenici fondarono numerose colonie, oltre che in Sicilia, nell’isola di Cipro, a Creta, nelle isole del mar Egeo, nella Spagna e in Africa settentrionale. La più importante tra queste colonie fu quella di Cartagine, nell’odierna Tunisia, la cui fondazione è avvenuta nell’804 a.C., secondo quanto riportato da Timeo da Taormina (vissuto nel IV secolo a.C.). Inoltre, Virgilio scrive nell’Eneide che a fondare Cartagine fu la regina fenicia Didone. La colonizzazione dei Fenici ebbe carattere commerciale, ma i Cartaginesi trasformarono la penetrazione commerciale in occupazione militare in molti luoghi del Mediterraneo, scontrandosi con i Greci in Sicilia e successivamente con Roma per il predominio sul bacino del Mediterraneo.
LA REGINA DIDONE E LA FONDAZIONE DI CARTAGINE
Tra storia e leggenda si colloca una delle figure più belle dell’antichità: la regina Didone. Virgilio la descrive come una donna dai capelli biondi, dalle splendide fattezze e soprattutto dotata di un’intelligenza straordinaria. Intorno al IX secolo, nella città di Tiro, morto il re Matten, gli succedettero sul trono i due figli, Pigmaglione ed Elissa (il vero nome della regina Didone), la quale aveva sposato lo zio materno Aharba. Ma Pigmaglione non era disposto a dividere il potere con la sorella e, geloso delle immense ricchezze accumulate da Aharba, lo fa uccidere. Elissa, trovandosi lontana da Tiro, temendo il peggio anche per lei, pensa alla fuga con il tesoro accumulato dal defunto marito. Per attuare tale proposito le mancano però le navi. Escogita perciò uno stratagemma: chiede a Pigmaglione un incontro chiarificatore al fine di giungere a un accordo. Il fratello invia allora alcuni vascelli per consentirle di tornare a Tiro. Nottetempo, Elissa e gli uomini a lei fedeli caricarono sui ponti delle navi moltissimi sacchi pieni di sabbia facendo credere che in quei sacchi era contenuto tutto l’oro del defunto marito. L’oro, quello vero, viene invece caricato di nascosto nella stiva di una delle navi. Durante la navigazione, Elissa comincia a invocare lo sposo assassinato, lo prega di riprendersi l’oro del quale il fratello non è degno ed ordina ai suoi uomini di gettare i sacchi di sabbia in mare. I soldati di Pigmaglione a tale vista allibiscono, essi infatti sanno che mai avrebbero potuto presentarsi al cospetto del re privi del tesoro. Decidono quindi di fare rotta verso Cipro, così come Elissa aveva sperato. Sulla spiaggia dell’isola li attende una bella sorpresa magistralmente orchestrata dalla regina: ottanta belle ragazze che si dichiarano disposte a seguirli ovunque volessero. A questo punto viene rivelato ai soldati che il tesoro non è perduto ma è ancora a bordo. Con l’oro e le ragazze tutti gli uomini sono disposti a seguire Elissa nell’impresa di fondare una nuova città. Arrivati in Africa, la regina acquista a poco prezzo dai nativi un terreno che, secondo gli accordi, doveva essere grande quanto la pelle di un bue. Ma l’astutissima donna fa tagliare la pelle in striscioline sottilissime che bastano a circondare tutta la collina sulla quale sorgerà la città di Cartagine.
L’ALFABETO FENICIO
Grazie ai Fenici, le popolazioni stanziate in Sicilia in epoca preistorica furono fra le prime a conoscere l’alfabeto. Infatti, data la loro attività prevalentemente economica, che necessitava di conteggi ma anche di annotazioni, intorno all’anno 1000 a.C. i Fenici crearono non uno ma due alfabeti: il primo in uso nella zona fenicia settentrionale e l’altro nella zona fenicia meridionale. Quest’ultimo alfabeto fu usato anche nelle città di Tiro e Sidone, le più importanti del mondo fenicio, e questo ne decretò il successo e l’uso prevalente rispetto all’altro alfabeto. L’alfabeto fenicio meridionale era composto da 22 segni e si leggeva da destra a sinistra. È possibile definirlo come il progenitore di tutti gli alfabeti moderni poiché sia i Greci che i Latini strutturarono i loro alfabeti dopo essere venuti a conoscenza dell’alfabeto fenicio.
LE SCOPERTE TECNOLOGICHE DEI FENICI
I Fenici apportarono importanti miglioramenti in campo tecnologico. Essi migliorarono le tecniche di tessitura e le modalità di colorazione dei tessuti: la porpora rossa fenicia fu per lunghissimo tempo il tessuto più apprezzato in tutto il Mediterraneo. Persino il nome dei Fenici è fatto risalire all’antico nome della porpora. Inoltre, gli artigiani Fenici furono eccellenti nella produzione e lavorazione del vetro, del rame, dell’argento, del piombo e dello stagno. Inoltre, i loro commercianti fecero fortuna comprando oggetti d’arte nel continente africano e rivendendoli presso tutte le popolazioni mediterranee.
LA LEGGENDA DEI TERRIBILI MOSTRI MARINI SCILLA E CARIDDI
Dei Fenici si racconta che fossero gelosissimi della loro supremazia sul mare. Essi infatti tenevano segrete le rotte da seguire per i commerci e diffusero terribili leggende per scoraggiare la concorrenza. È da attribuire proprio ai Fenici l’invenzione dell’esistenza di Scilla e Cariddi, i due giganteschi e terribili mostri che affondava
no le navi nello stretto di Messina. I Fenici, grandi navigatori, vanno ricordati per la perfezione raggiunta nel campo delle costruzioni navali. Nel 1971 fu ritrovata nei fondali del porto di Marsala, nel trapanese, una magnifica nave punica, oggi custodita nel Museo regionale del “Ba¬glio Anselmi” della stessa città, che mostra il livello tecnico raggiunto dalle maestranze del tempo, senza dubbio le migliori di tutto il Mediterraneo.  
I FENICI E L’ISOLA DI MOZIA
La più importante sede dei Fenici in Sicilia fu l’isola di Mozia, nella laguna detta “Lo Stagnone”, nei pressi di Marsala.  Oggi si chiama Isola di San Pantaleo, ma il nome odierno è una deri¬vazione del greco “panta leimona” che significa “tutta acqua stagnante”. L’o¬riginario nome fenicio dell’isola, che si legge nelle monete ritrovate, è “MTVA”,  probabilmente derivato dalle attività artigianali che vi si praticavano e che sono ampiamente confermate dai molti interessanti resti archeologici custoditi nel locale museo. Il centro abitato di Mozia fu costituito intorno alla fine dell’VIII a.C., divenendo ben presto la più importante sede delle attività puniche in Sicilia. Questo spiegherebbe gli attacchi che Mozia subì nel VI secolo a.C. ad opera dei due condottieri greci Pentatlo e Dorieo che tentarono di assoggettare all’influenza ellenica anche quella parte della Sicilia occidentale che era ancora rimasta sotto l’influenza di Cartagine. Dioniso il Vecchio, signore di Siracusa, nel 397 a.C. distrusse Mozia dopo averla a lungo assediata con una poderosa flotta guidata dal fratello Leptine. La città fu saccheggiata e i Greci che avevano combattuto con i moziesi  furono crocifissi perché accusati di tradimento. È credenza comune che i superstiti, abbandonata l’isola, si recarono sulla terraferma dove fondarono la città di Lilibeo, l’attuale Marsala.
LE COLONIE FENICIE IN SICILIA
Un’altra importante città fenicia in Sicilia è Solunto, nel palermitano. Questa città, fondata nel IV secolo a.C., in periodo fenicio fu denominata Soloeis o Solus. 
Di grande importanza sono le iscrizioni puniche trovate nella grotta “Regina” del monte Gallo, vicino a Palermo. Esse testimoniano, insieme ad altri ritrovamenti, la presenza fenicia nella città siciliana che fu uno dei capisaldi commerciali nel Mediterraneo.
La colonia greca più occidentale in Sicilia fu Selinunte. Qui i due mondi, quello greco e quello punico, ebbero degli interessanti contatti: accanto ai templi della grecità si trova infatti anche il tipico cimitero punico detto “tophet”.  
LA FINE DELLA CIVILTA’ FENICIA
Conclusa la loro rilevante avventura sulle sponde del Mediterraneo, i Fenici resistettero ancora nella madrepatria fino alla capitolazione di Tiro, ultima città rimasta ancora libera. Nel 332 a.C. infatti le truppe comandate da Alessandro Magno sconfissero e assoggettarono Tiro consegnando alla storia le gesta e i modi di un popolo straordinario a cui molto deve la civiltà odierna. 

Giuseppe La Ros

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MUSEO ARCHEOLOGICO BAGLIO ANSELMI DI MARSALA ( indice dei musei )

 

Museo Archeologico Baglio Anselmi
Marsala (Trapani), Lungomare Boéo
Tel. +39 0923 952535
Fax +39 0923 952535

Mappa del Museo
Mappa di Marsala
Tour Virtuale del Museo

Lunedì, martedì, giovedì e venerdì dalle 9 alle 14.
Mercoledì e sabato dalle 15 alle 18.
Domenica dalle 9 alle 13.
Ingresso Lire 4000 (ingresso gratuito per i cittadini della Comunità Europea di età inferiore ai 18 anni e superiore ai 60 anni).

SERVIZI:
• Audiovisivi
• Vietato l’uso del flash

Il Museo si trova sul lungomare Capo Boéo, all’interno dell’area archeologica di Lilibeo (l’antica Marsala), limitrofa all’attuale centro abitato.

La sede museale è il Baglio Anselmi, una costruzione nata sui finire del secolo scorso come stabilimento vinicolo per la produzione dei “Marsala”. Il baglio è costituito da corpi di fabbrica aperti su di un ampio cortile interno. Gli spazi espositivi del museo sono quelli dei due grandi magazzini del baglio, dove venivano stivate le botti. Nel cortile interno è visibile un saggio di scavo che ha portato alla luce una tomba, una fornace, e strutture murarie che documentano la notevole frequentazione dell’area sin dal IV sec. a.C.

Il museo espone il relitto della nave punica ed illustra la storia di Lilibeo e del territorio storicamente ad essa connesso, dalla preistoria al medioevo.
Lilibeo fu fondata intorno al 397 a.C. dai superstiti della vicina isola fenicia di Mozia, distrutta dal tiranno siracusano Dionisio. Essa divenne ben presto una inespugnabile base militare cartaginese riuscendo, grazie alle sue imponenti fortificazioni, a resistere all’assedio di Dionisio nel 368 a.C., e a quello di Pirro, nel 277 a.C. Nel corso della prima guerra punica, Lilibeo costituì per i Cartaginesi la base di difesa in Sicilia contro i Romani che riuscirono ad ottenerla soltanto a seguito della ratifica del trattato di pace, nel 241 a.C.. Il ruolo di testa di ponte verso l’Africa fu mantenuto anche nel corso della seconda guerra punica quando i Cartaginesi tentarono, invano, di rioccuparla. Sotto il dominio romano visse un periodo di prosperità economica, mantenendo il suo
carattere di importante base navale.
Diventata municipio in età augustea, Liibeo fu elevata al rango di colonia. Agli inizi del V sec., quando la città fu devastata dai Vandali, è documentata la presenza in essa di una comunità cristiana, essendo stata istituita, al tempo del Papa Zosimo, la diocesi di Lilibeo.

Le collezioni. Il museo è nato per la conservazione e l’esposizione del relitto della nave punica (metà III sec. a.C.) rinvenuto nel 1971 nel tratto di mare allargo dell’Isola Lunga, in prossimità di Punta Scario, all’imboccatura nord della Laguna dello Stagnone di Marsala. A partire dal 1986 in esso sono confluiti materiali provenienti dalle campagne di scavo condotte nell’area archeologica di Lilibeo dalla Soprintendenza di Palermo e, dal 1987 in poi, dalla Soprintendenza di Trapani, insieme ad un ristretto gruppo di reperti prima conservati nel Museo Regionale Agostino Pepoli di Trapani e nel Museo Whitaker di Mozia.

L’ordinamento, ad un tempo cronologico e topografico, si articola per sezioni dove l’esposizione dei reperti è introdotta da pannelli didattici.

 

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