Visse a Cianciana, nell’Ottocento, un certo fra‘ Antuninu, originario d’un paese vicino, che s’era fatto monaco per non patire più la fame e tanto si adoperò in Convento da diventarne il cuoco.
Espropriati dopo l’Unità i beni ecclesiastici e tornati al laicato molti confratelli, le cose per fra‘ Antuninu si misero così male che escogitò di lucrare sui morti.
Invitava i paesani a deporre nei “tabbuti” i defunti con i loro abiti più belli, che egli sottraeva prima di seppellirli e portava a vendere a S. Biagio Platani, complice il locale “beccamorto che, a sua volta, “spogliava” gli estinti del suo paese, i cui indumenti venivano, poi, da fra‘ Antuninu piazzati a Cianciana.
Alessio Di Giovanni ne fece il protagonista del suo romanzo in lingua siciliana e lo soprannominò, visto che non aveva rispetto nemmeno per i morti e per la sua condotta peccaminosa, “lu Saracinu”.(cfr. A. Di Giovanni, Lu saracinu, Palermo, 1980)