Giuseppe Ferrandino o la rapidità

Nelle Lezioni americane e, in modo particolare nella lezione dedicata alla Rapidità, Italo Calvino cita, tra gli altri, Leopardi e le sue riflessioni sullo stile tratte dallo Zibaldone che devo necessariamente premettere a quest’articolo: 

«La rapidità e la concisione dello stile piace perché presenta all’anima una folla d’idee simultanee, così rapidamente succedentesi, che paiono simultanee, e fanno ondeggiar l’anima in una tale abbondanza di pensieri, o d’immagini e sensazioni spirituali, ch’ella o non ne è capace di abbracciale tutte, e pienamente ciascuna, o non ha tempo di restare in ozio, e priva di sensazioni» 

Calvino presenta la rapidità dello stile tra le sei proposte per il prossimo millennio. A leggere Giuseppe Ferrandino non si può fare a meno di pensare che questo scrittore abbia accolto, consapevolmente o inconsapevolmente, questa proposta, mettendola in pratica in maniera eccellente nei suoi romanzi. 
Ferrandino è nato a Casamicciola ad Ischia nel 1958. A solo quattro materie dalla laurea in medicina, ha interrotto gli studi scientifici per intraprendere una carriera diametralmente opposta, quella di sceneggiatore di fumetti. Il suo esordio risale al 1982 presso la casa editrice Eura. Da allora ha scritto per diffusissime collane come IntrepidoMonelloLancio Story,Skorpio 

e più recentemente per Dylan Dog,2 Martin Mystère e Nick Raider. Come sceneggiatore raggiunge l’apice della sua maturazione e fama proprio negli anni Ottanta e oggi è unanimemente considerato uno tra i più importanti sceneggiatori italiani di fumetti. Questa sua attività è stata ovviamente di fondamentale importanza per la sua crescita artistica e ne ha fatto uno scrittore molto originale: uno scrittore dallo stile rapido. 
Nell’ampio panorama della sua produzione di sceneggiatore, due serie, pubblicate presso la Comic Art, sono di grande importanza per capire meglio il suo esordio come scrittore:Zampino e Sera Torbara

Zampino è ambientato nei quartieri popolari di Napoli affollati da figure realisticamente originali di camorristi e delinquenti. Un’ambientazione che contribuirà in modo determinante all’originalità dei suoi romanzi. Sera Torbara, invece, è una serie a sfondo storico. Ma la cosa più interessante che riguarda questo fumetto è il grande successo che ha avuto in Francia. Non è un caso, infatti, che il suo primo libro, Pericle il Nero, che era stato pubblicato nel 1993 con scarso successo di vendite in Italia dalla piccola casa editrice Granata Press, sia stato poi scoperto dalla Gallimard e quindi tradotto e pubblicato nella famosa série noir della casa editrice francese, ottenendo il riconoscimento che si meritava. Prima di esordire come scrittore, Giuseppe Ferrandino non era quindi in Francia un illustre sconosciuto e il fatto che la sua fama sia stata legata ai fumetti, non sembra avergli creato alcuna discriminazione. Ben cinque anni più tardi nel 1998, grazie al successo avuto oltralpe, è stato di nuovo pubblicato in Italia per i tipi dell’Adelphi. Un esordio lento, sicuramente sofferto, ma anche originale. 
A quest’opera prima segue, nel 1999, un altro giallo che, pur mantenendo la stessa ambientazione popolare napoletana e rispettando lo schema classico del romanzo poliziesco, è completamente diverso dal primo, perché dagli effetti decisamente comici. Si tratta de Il Rispetto (ovvero Pino Pentecoste contro i guappi) anche questo pubblicato da Adelphi con un lusinghiero successo di pubblico e di vendite. Nello stesso anno, sull’onda del successo dei due precedenti romanzi, Mondadori pubblica Lidia e i Turchi, una favola per adolescenti. Segue un libercolo bizzarro: Cento modi per salvarsi la vita con un pacchetto di sigarette senza fumarlo pubblicato nel 2001 da Bompiani. Sul risvolto di copertina si legge: «un manuale scrupolosamente paradossale, scientificamente ineccepibile e irresistibilmente comico». Il commento dà perfettamente l’idea di cosa sia questo manualetto scritto a mo’ didivertissement in bilico tra la goliardia e l’esercizio di stile. Il perché del libro si vada a cercare nella collana Le chiavi d’oro dove è pubblicato e che, fra gli altri, annovera titoli come: Il libro di tutti gli abbracci, oppure 85 modi di annodare la cravatta. Libri che promettono delizie parimenti paradossali. Su quest’esercizio di stile non è il caso di dilungarsi, tranne forse che per sottolineare la presenza di una verve comica nel DNA dell’autore che ci riserverà sicuramente altre esilaranti sorprese. 
L’ultimo libro è Saverio del Nordovest, pubblicato da Bompiani. Questo romanzo breve comincia riecheggiando motivi e temi del Candide di Voltaire, si sviluppa, seguendo il percorso del Robison Crusoe di Defoe e finisce con una coloritura decisamente picaresca. 

Ognuna delle opere dello scrittore isolano si caratterizza per la sua brevità e per il messaggio immediato e forte che arriva al suo lettore. Il suo primo romanzo, già pubblicato in molte lingue,Pericle il Nero è già un cult. Presto ne uscirà anche una versione cinematografica ad opera del regista di Pater familias Francesco Patierno. Il protagonista della storia è Pericle, un soldato della camorra napoletana. Il suo boss è Don Luigino, un tranquillo camorrista di piccola caratura che vive in un basso dei Quartieri Spagnoli. Il compito di Pericle è quello di punire i nemici di Don Luigino e fare estorsioni ai commercianti, soprattutto proprietari di pizzerie. La sua specialità è quella di sodomizzare i malcapitati per umiliarli e quindi ridurli alla ragione. Ferrandino dà a Pericle il compito di narratore protagonista e il suo raccontare è caratterizzato da una flemma realistica con la quale vengono tratteggiati ambienti e personaggi con brevi battute o osservazioni spesso molto naïf, praticamente da disadattato, ma, proprio per questo, colme di una sorta di umanità che stride con la violenza quotidiana del soldato di camorra. 
La vita di Pericle trascorre monotona e bestiale tra un incarico e l’altro che lui porta a compimento con scrupolo e precisione. Un giorno deve portare a termine una delle sue punizioni esemplari ai danni di un prete che si è permesso di attaccare dal pulpito Don Luigino e le sue attività ai danni delle pizzerie. Nella casa del prete però incappa in un testimone scomodo che deve uccidere. Si tratta di Signorinella, il capo delle Supplicanti di San Gennaro nonché sorella di un boss della camorra. Signorinella non doveva trovarsi a Napoli, perché dalla città partenopea era stata bandita a causa di un’infatuazione omosessuale di cui si era chiacchierato molto e che aveva scalfito la sua aureola di santona. Pericle, che l’ha riconosciuta, non ha alternativa e sa che, se non la ucciderà, lei incaricherà sicuramente qualcuno di liquidarlo. Questo incidente cambia completamente la vita di Pericle che ora è costretto a nascondersi. L
a famiglia di suo zio, che lo ospitava, viene decimata e lui si dà alla latitanza per sfuggire alla vendetta di molte famiglie camorriste, compresa quella per cui lavora. Per quanto ce l’abbia messa tutta, infatti, non è riuscito ad uccidere Signorinella che è gravemente ferita e chiede vendetta. Girovagando, Pericle incontra Nastasia, un’emigrata polacca che lavora in una fabbrica di copertoni a Pescara. Nastasia ha tre figli ed è stata lasciata dal marito italiano. I due cominciano una relazione che ricorda quella tra Accattone e Stella del film di Pier Paolo Pasolini. Si tratta di un rapporto semplice e simbiotico e non potrebbe essere diversamente per due persone che vivono ai margini della società. Con il passare del tempo tra di loro cresce il sentimento. Pericle è un personaggio dinamico che si sviluppa nel carattere attraverso una serie lenta di riflessioni. Man mano che si va avanti nel romanzo, comincia a capire che deve fare qualcosa e sa di volerlo fare, perché finalmente ha un motivo. Da soldato della camorra, che assolve compiti bestiali senza battere ciglio, grazie al sentimento che probabilmente prova per la prima volta, comincia a prendere coscienza e con questa presa di coscienza si affaccia in lui addirittura una parvenza d’etica che raggiunge il culmine nella scena finale a casa di Anna, la figlia di Don Luigi. Qui Pericle è riuscito ad estorcere al suo ex boss venticinque milioni di lire e sta per vendicarsi con il solito sistema, ma ci riflette e, all’ultimo momento, non lo fa. Scappa quindi con i milioni che, alla fine, spiega al lettore di aver rubato al suo boss per aiutare Nastasia nel suo sogno di mettere su un negozio di moda a Varsavia dove andrà a vivere insieme a lei. Un epilogo che arriva a lambire le sponde del Kitsch senza però approdarvi, grazie al crudo realismo della storia che si svolge in un’Italia che tutti conosciamo. 

Anche ne Il rispetto Ferrandino propone un narratore protagonista e il genere è ancora quello del giallo, ma questa volta, alle tristi tinte realistiche che tratteggiano Pericle il Nerosottoproletario e camorrista proposto in uno stile postpasoliniano, preferisce il ritmo serrato ed esilarante a mo’ di Commedia dell’Arte, che fa del romanzo un persiflage all’italiana del giallo cinematografico americano. Il tutto ambientato in una vivacissima Napoli dei nostri giorni. Le ambientazioni, bisogna dirlo, contribuiscono non poco a dare alla narrazione le coloriture necessarie per superare il buon artigianato e avvicinarsi al fine tessuto artistico di una narrazione rapida di tutto rispetto. Il fatto che il romanzo sia intriso d’ironia con momenti daslapstick, non deve trarre in inganno e far pensare che ci troviamo di fronte ad un romanzo solamente divertente e quindi “superficiale”. Il rispetto, proprio nel suo ritmo narrativo e nella sua leggiadra ed efficace rapidità, raggiunge, una battuta dopo l’altra, vette insospettabili del genere comico. Ad analizzare il racconto dell’autore campano si scoprono una struttura e un meccanismo precisi e degni di un orologio svizzero nonché un’eccentricità nel migliore stile comico-partenopeo. Imponente è infatti la scelta dei tempi comici e il sapiente miscuglio di momenti di riflessione con momenti di azione. 
Pino Pentecoste, investigatore privato per passione, riceve la visita di un camorrista di poca importanza: Tullio Regina. Questi gli offre troppi soldi per fare quello che dovrebbe essere un lavoro semplice e senza complicazioni. Si tratta di recuperare un camion. Pentecoste, i cui modelli di riferimento sono i film di Miki Stewart, dopo aver ascoltato il camorrista, giustamente rifiuta l’incarico perché ci vede poco chiaro. Il rifiuto offende però Tullio Regina che cercherà di vendicarsi. Comincia così a comparire nel suo studio una ridda di personaggi originalissimi che danno vita a un romanzo che si sviluppa come una commedia con repentine entrate e uscite di scena. Il detective si ritrova, suo malgrado, coinvolto in una lotta tra clan rivali che si sviluppa attorno ad un furto di un purosangue dal valore di parecchi milioni. Con grande destrezza e intelligenza Pino Pentecoste riuscirà a districare l’ingarbugliata matassa e contribuirà a risolvere il caso senza praticamente uscire dal suo studio. 
Il vero protagonista del libro, a cui peraltro è subordinata anche la trama come sottolinea il titolo, non è però un personaggio, ma piuttosto il tema del romanzo ossia “il rispetto”. Il rispetto è servito in tutte le salse e affrontato da tutte le prospettive: da quella filosofica passando per quella storica e finendo con quella popolare. Interessante è qui l’operazione al limite della sociologia e dell’antropologia tutta napoletana, portata avanti in maniera funambolica sul filo di una tagliente ironia che, in più di una occasione, si trasforma, in maniera decisamente riuscita, in vivace comicità. 
Il romanzo agisce come un potente farmaco direttamente sulle incrostazioni e placche create dalla mentalità camorrista, prima causa fisiologica della sclerosi della società partenopea. La lettura produce un effetto liberatorio senza controindicazioni per il lettore. Del resto si sa, quando di una cosa che incute paura si comincia a ridere, con buona probabilità si è di fronte all’inizio della sua fine, proprio perché se n’è perso il timore che, come direbbe Pino Pentecoste, è forma di rispetto. Operazioni simili, seppure con effetti meno immediati, le aveva già cominciate, nei confronti della mafia siciliana, Leonardo Sciascia. Lo scrittore ischitano, in questo senso, raccoglie idealmente il testimone dello scrittore e saggista siciliano, ma decuplica le potenzialità dissacratorie e liberatorie della letteratura passando dal fioretto dell’ironia all’impietosa sciabola della comicità. 
Tutto il romanzo si svolge praticamente nello studio di Pino Pentecoste, lo scenario per tutte le azioni rocambolesche vissute dal detective privato, creando un’unità di luogo che fa pensare allo stile teatrale da sceneggiata napoletana. Per avere un’idea della rapidità narrativa di questo giallo – che bisognerebbe adattare e mettere in scena per il teatro – basti pensare che i capitoli hanno una lunghezza media di quattro pagine. 

Con Leonardo Sciascia, Ferrandino condivide l’amore per Voltaire e questo si vede soprattutto in Saverio del Nordovest, romanzo breve che propone più livelli di lettura che vanno dall’Entwicklungsroman al romanzo moralizzante fino al romanzo d’avventura. Il protagonista è «il terzo figlio di una famiglia di cinque maschi e tre femmine». Saverio è ancora un ragazzino, ma l’incontro con uno scrittore francese Henri Beyle (meglio conosciuto come Stendhal), che consiglia a suo padre di farlo studiare, gli cambia la vita. 
Quando a don Gerardo, che deve insegnargli a leggere e a scrivere, dice di avere paura di studiare, il prete commenta laconicamente: «Bravo. Si vede subito che tieni l’anima del filosofo». Siamo all’inizio della sua avventura che comincerà a Coda e finirà dall’altra parte dell’oceano in una America selvaggia dove Saverio, abbandonato a se stesso, riuscirà a sopravvivere, lottando contro intemperie, animali feroci e indiani. Le letture che Saverio farà nel suo periodo di apprendistato saranno all’inizio il motivo della sua rovina e poi si dimostreranno importantissime per la sua sopravvivenza nel nuovo mondo. 

Questi libri da soli rappresentano una biblioteca ideale di autori per lo sviluppo intellettuale del giovane desideroso di avventure. Vale la pena di elencarne qui alcuni tra i più significativi a cui questo romanzo breve rimanda a mo’ di ipertesto: Captain Singleton di Defoe, Histoire de Gil Blas de Santillana di Lesage, i racconti di Marivaux, The history of the adventures of Joseph Andrews and of his friend Mr. Abraham Adams di Fielding, Barry Lyndon di William Thackeray, Zadig di Voltaire. Tanto citare va sicuramente anche letto come omaggio alla letteratura a cui < em>Saverio del Nordovest è ispirato. Queste caratteristiche sono però anche i limiti del libro poiché un lettore sprovvisto di queste conoscenze bibliografiche resta spiazzato dalla storia troppo semplice e prevedibile. 
Troppo semplice e anche poco riuscito è il racconto Lidia e i turchi che imita la tecnica deL’Ingénu di Voltaire senza però riuscire a dare un messaggio chiaro e soprattutto comprensibile allo stesso pubblico postmoderno che invece ha tutte le conoscenze necessarie e sufficienti per capire e metabolizzare i romanzi precedenti come Il rispetto e Pericle il nero.
Di Cento modi per salvarsi la vita con un pacchetto di sigarette senza fumarlo, va messo in evidenza l’incipit che riecheggia gli esercizi stilistici di Una notte d’inverno un viaggiatoredi Calvino. Il libro infatti si è fatto scegliere dal suo compratore, l’argentino John Laderici, usando una copertura o, meglio, un’altra copertina di un libro il cui titolo è Sioux e Cheienne. Storia di una lunga guerra. Il manuale, fino a quel momento sotto mentite spoglie, si rivela contemporaneamente alla lettura del lettore intradiegetico John e del lettore reale. L’idea è certamente originale, ma senza sorprese artistiche degne di nota. 

Per concludere, possiamo dire che Giuseppe Ferrandino, nel vivacissimo variegato panorama del giallo e noir italiano che annovera molti interessanti autori come Massimo Carlotto, Andrea G. Pinketts, Carlo Lucarelli, Eraldo Baldini, Sandrone Dazieri o Loriano Macchiavelli,3 si profila certamente come un autore sui generis. Il suo noir, per fare un esempio, è diverso da quello di un Carlo Lucarelli che spesso cerca l’ambientazione tra le rughe della memoria italiota. E se è vero che alcuni suoi personaggi realisticamente caricaturali seguono, come fanno altri autori, – per esempio l’Ammaniti di Ti prendo e ti porto via o ancora il Lucarelli di Laura da Rimini – modelli Felliniani intrisi di un grottesco alla Stefano Benni, è altrettanto vero che questi finiscono sempre per creare una tipologia nuova anche grazie alla loro caratterizzazione partenopea. E questo sia detto con buona pace dello stesso autore che in alcune interviste cerca di liberarsi di quella che a lui sembra un’etichetta. Quest’impresa è infatti impossibile, perché l’ambientazione napoletana o comunque campana dà un’aura a trama e personaggi che nell’immaginario collettivo globale riescono a dare solo pochi altri posti al mondo. Un’aura che, per fare un nome, Antonio Tabucchi deve andare a cercare fuori dall’Italia in un’affascinante e atlantica Oporto per il suo indimenticabile La testa perduta di Damasceno Monteiro, mentre altri autori di gialli come Marcello Fois, Santo Piazzese o Andrea Camilleri ce l’hanno a portata di mano e la usano consapevolmente; l’ultimo addirittura amplificandone gli effetti con un magistrale uso gaddiano del dialetto. 
Pericle è certamente un personaggio originale anche se ha un antenato illustre come Accattone. Pino Pentecoste è un antieroe che possiede un realismo comico che non teme confronti con la letteratura nazionale più esilarante, tanto più che la sua non è una comicità fine a se stessa. Infine, è vero che la semplicità di Ferrandino ha come modello Voltaire, ma la sua rapidità tutta postmoderna e già vaticinata da Italo Calvino, è una sua caratteristica peculiare legata anche alle sue esperienze di sceneggiatore di fumetti e fa, del poliedrico artista ischitano, uno scrittore decisamente nuovo.

 

 

Fausto De Michele

1  I. Calvino, Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, Milano, Mondadori, 1993, pp. 49-50.

2  Vivono tra noi, n. 13; Ti ho visto morire, n. 27; Il Signore del silenzio, n. 39.

3  Questa breve enumerazione non ha la presunzione della completezza. Mancano infatti interessanti autori come Pino Cacucci, Massimo Carloni, Nicola Ciccoli, Giampiero Rigosi, Danila Comastri Montanari, Loris Marzaduri, Gianni Materazzo, Sandro Toni e molti altri.


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