Aveva bellamente superato i suoi 65 anni quando Giacinto Schembri, poeta dialettale di Cianciana in Valplatani, esordì con la raccolta di liriche siciliane”Zirrìu di papanzìcu” (1988). Prima di quella data questo poeta s’era fatto notare in varie antologie e in diversi concorsi letterari per i soddisfacenti esiti conseguiti. Io stesso ricordo una sua fortunata partecipazione al Premio “Castelluccio” di racalmuto quando ne presiedevo la Giuria. Ecco dunque un poeta sinceramente schivo e appartato in tempi nei quali la mostra di sé,
la ricerca spasmodica della notorietà, alterano il rapporto con il pubblico dei lettori. Ma non sono solo la timidezza e il riserbo che caratterizzano il portamento letterario di Giacinto schembri, poiché egli inoltre distilla – se così possiamo dire – nei tempi lunghi e alla distanza le proprie apparizioni. Infatti trascorrono ancora altri quattordici anni prima che Giacinto Schembri si decide di portare alle stampe una seconda silloge di componimenti poetici, ancora in dialetto, intitolata “Tampasiannu … tampasiannu …” (2002), un titolo il cui senso è – appunto – “non c’è alcuna fretta”. La raccolta è preceduta da tre interventi critici di varia estensione e respiro. La prima è di Eugenio Giannone poeta ciancianese e studioso dell’opera di Alessio Di Giovanni. Egli, con lodevole puntualità storiografica, colloca l’opera di Schembri nel filone della tradizione poetica di Cianciana, a cominciare dal pievano Vincenzo F. Sedita (1714-1799) fino a Salvatore Mamo (1839-1920), da Alessio Di Giovanni (1872-1946) fino a Pasquale Alba, Gaspare D’Angelo Agostino D’Ascoli e Rino cammilleri. In questo contesto Giacinto Schembri, con i suoi versi nella parlata ciancianese, “compie un’azione meritoria di salvaguardia di uno dei dialetti più musicali, schietti e belli della Sicilia”. La prefazione di Antonio Palermo sviluppa un’indagine critica a tutto campo sul libro di Schembri portandone alla luce le peculiarità più significative. Il “gusto estetico e la padronanza linguistica” sono invece sottolineate da una breve ma efficace nota di Giuseppe Gaglio.
I versi di “Tampasiannu … tampasiannu …”, nei trentasei componimenti che arricchiscono la silloge, disegnano luoghi, ambienti e figure di una Cianciana antica che la memoria del Poeta amorevolmente conserva. “Li so casuzzi di jssu“ cu li tetti ‘ncrustati / di virdi arramatu / sunnu aggiuccati / comu pecuri stanchi/…”. Dalla visione panoramica l’occhio del Poeta si ferma commosso nel quartiere del Canaleddu in “Casuzza nativa”. La rievocazione dei luoghi dell’infanzia cede ai sentimenti della nostalgia e della malinconia, che tocca il punto più alto nel suo “Lamentu d’un vecchiu”. E quindi la sensibilità del Poeta trasfigura in pennellate di tristezza i ritmi della natura quando i cieli sono grigi e piovosi e l’anima ne è lo specchio fedele. In questo scenario, quella di Schembri si rivela una poesia senza sorriso. Il Poeta canta solo le sofferenze e le malinconie di chi, come lui, ha vissuto una vita di fatiche e di stenti. Egli, nel linguaggio e nello stile, è un poeta di segno popolare mentre il suo messaggio è principalmente lirica del dolore. (S. Di Marco)