L’oro del frumento si divertiva da giorni a far capriole con il giallo della paglia. Mani pratiche mescolavano i due colori, tirandoli in aria con abili palate. L’oro tornava giù in fretta e conquistava il centro dell’aia. Il giallo, cullato dal vento, si accumulava nella margunata, a testimoniare comunanza di vita e di speranze.
Il raccolto era abbondante, le lunghe e grosse spighe ne avevano dato certo avviso. Anche se c’era da togliere la gabella per don Sisì, il proprietario del terreno, ai mezzadri ne sarebbe spettato da saziarsi di pane e di pasta un anno intero.
Carmine prese una manciata di frumento e lo lanciò in alto, aspettando ad occhi chiusi che, pioggia gradita, gli ricadesse sul viso.
– Buona annata, ringraziando il Signore! Ci sono più chicchi di frumento nell’aia che stelle in cielo.
Don Sisì non poté trattenersi dal sorridere bonariamente.
– Se tu avessi un chicco di frumento per ogni mille stelle, saresti ricchissimo e non avresti più bisogno di lavorare.
– Voscenza li conta quante salme abbiamo davanti?
– Queste salme sono un niente rispetto alle stelle.
Carmine guardò incredulo il frumento che s’innalzava come una montagna smisurata e gli riempiva gli occhi ed il cuore.
– Voscenza babbìa o dice sul serio? Quante possono
essere le stelle?
Don Sisì stese le braccia e li mosse a ventaglio, indicando la volta celeste.
– Eh! Contale, se ci riesci.
Quel se ci riesci fu una fucilata che ferì Carmine nell’amor proprio. Don Sisì, dunque, lo teneva in così scarsa stima da considerarlo incapace persino di saper contare le stelle. Diventò rosso in viso e le mani manifestarono un tremolio sostenuto. Era il solito segnale che egli aveva raggiunto il punto di ebollizione nervosa. Fu quasi per perdere il rispetto dovuto e rispondere:
– Don Sisì, senza che voscenza se la prende a offesa, io ho poche scuole ma se mi ci metto me la fido a contarle.
Pietro, conoscendo il fratello, facile ad incendiarsi, lo raffreddò con uno sguardo, chiudendogli la bocca. Durante il mangiare della sera, don Sisì, che amava stupire gli altri, riprese a parlare delle stelle, facendo scorrere accanto all’aia un fiume di scienza che non bagnò i due incolti mezzadri, messisi al riparo. Pietro teneva gli occhi fissi alle labbra del sapiente comunicatore, ma aveva chiuso l’ingresso al cervello. Carmine, vampeggiando, inceneriva ogni parola in avvicinamento e finì con l’accettare la sfida, mai lanciatagli.
– Una per una le conto, a costo di non chiudere occhio
stanotte. A bocca aperta lo faccio stare domani mattina.
Niente di nuovo. Era fatto così, ma egli non si conosceva!
E venne la notte. Don Sisì in casa nel letto e i due fratelli all’addiaccio sulla paglia, a guardia del prezioso tesoro.
– Compare?
– Ah?
– Che fa dormite?
Pietro sollevò le palpebre, pesanti quanto la campana grande della Matrice, e spostò la coppola che, messa a riparo degli occhi, creava piacevole coperchio per conciliare il sonno.
– Quàsica.
– Vi devo dire una cosa.
– Parliamone domani a mente fresca.
Trattavasi di cosa d’urgenza e non fu possibile rimandare.
– Secondo voi, di che mìnica sono fatte le stelle?
Pietro, non avendo risposte al quesito del fratello-compare, sperò che un lungo silenzio fosse bastevole per tirarsi fuori dalla problematica. Si sbagliava.
– Gas è?
– Così ha detto.
– Come quello delle bombole che vende Nino Longo?
Pietro, muto, riconfermò la totale ignoranza sul tema e tentò di riappisolarsi, ma non per molto tempo.
– Compare?
– Camurrìa che vi viene!
– Chi ci ha dato fuoco?
– Mi avete visto arriminare? Io qua con voi sono stato.
Carmine capì la poca disponibilità del fratello e se ne lamentò.
– Tinto chi ha bisogno degli altri in questa vita.
Pietro cercò di rasserenarlo.
– Dormite e riposatevi, abbiamo davanti una giornata pesante.
Per Carmine non c’era riposo che potesse allettarlo e macinava soluzioni che gli surriscaldavano il cervello.
– Quante possono essere?
– Che vi posso dire? Cosa di uno che ha le scuole alte è.
– Mah, … sono più dei chicchi del nostro frumento?
Pietro mai aveva avuto necessità di contare oltre il cento nella vita ordinaria, anche se, con un certo impegno, avrebbe potuto oltrepassarlo. Fissò lo sguardo al cielo e navigò nell’infinito, ma, smarritosi, tornò, uomo prudente, sulla terra.
– Compare, perchè non vi levate questo picìnio dalla testa?
Seguì una breve calma tempestosa. Carmine non era disposto ad arrendersi.
– C’era bisogno di mortificarmi? Sento ancora una cosa che mi si smuove nello stomaco. Lo avete sentito parlare, pareva il Padreterno: Le stelle sono tanti Sole che bruciano nello spazio.
– Può essere, compare.
– Ah, sì? E voi avete visto il Sole che si affaccia di notte?
– A dire la bella verità, no.
– E di notte che vedete?
– Stelle.
– Allora se le stelle sono Sole, come dice lui, perchè non compariscono di giorno?
Pietro pensò di sdrammatizzare la situazione.
– Compare, meno male che ne abbiamo uno solo a cuocerci la testa!
– Di giorno con uno si suda e di notte con tanti com’è che non si sente calura?
– Che vi posso dire? Di notte saranno vampe … a freddo.
– E le stelle svàmpano e non si consumano mai?
– E chi vi dice che sono sempre le stesse a svampàre? Nostro padre, può darsi, ne ha visto una qualità, nostro nonno un’altra e quelle che vediamo noi sono magari un altro tipo.
La conversazione ebbe una pausa. Pietro non tentò di appisolarsi, ben sapendo che il fratello, testardo com’era, sarebbe tornato alla carica. Non passò molto tempo.
– Ne sentite odore di arso?
Pietro respirò profondamente.
– Pare di no.
– E cenere ne cade?
– Non ne vedo.
– Vi ricordate quando ha preso fuoco il bosco? Il bruciato si sentì per una settimana.
– Vero è! Il vento portò la cenere sopra le case e si lamentavano tutti a Cianciana.
– Dunque, se ci sono tante vampe, com’è che non si sente neanche un poco di arso?
– Può essere che il vento soffia contrario e se lo porta da un’altra parte.
– E la cenere?
– Il vento.
– Sempre contrario?
– Capita. … Che vi posso fare io?
Carmelo rimase a lungo a guardare la trapunta stellata della notte. Il suo corpo aveva il ballo di santo Vito.
– Compare, una mano d’aiuto mi dovete dare.
– Le stelle?
– Dalla prima all’ultima.
Carmine si alzò di scatto, prese le reti di corda a maglie larghe, usate a coppie sul basto per trasportare paglia, ne fece una cupola, sostenuta dai tridenti per la ventilazione del grano, e vi si sdraiò sotto supino. Il cielo gli apparve a scacchi.
– Compare, coricatevi vicino a me.
Pietro eseguì l’invito senza molta convinzione e si ritrovò sotto il reticolo che sezionava il cielo.
– Se contiamo quadrato per quadrato, la cosa diventa facile. Partiamo dalla montagna, voi contate a mano manca ed io a mano diritta.
– Compare, assai sono.
– E noi prèscia non ne abbiamo.
Concordarono che ogni mille stelle, ognuno dei due scrutatori avrebbe messo un chicco di frumento nel tùmmino. Con occhi attenti iniziarono a scrutare il luccichio stellare, pronti a captare il più debole segnale. Superate agilmente le decine e le centinaia, si addentrarono nelle migliaia ed i chicchi di grano cominciarono ad accumularsi. Carmelo, ad un certo punto, ebbe un’incertezza.
– Quelle piccole piccole le dobbiamo contare?
– Decidete voi.
– Ogni quattro vale una.
Il lavoro procedette spedito, fin quando Pietro si imbatté in una stella che sembrava giocare a nascondino, a tratti emanava una debole luce giallastra e subito dopo scompariva. Egli si mise alla posta, finse di distogliere lo sguardo dal quadrato di corda che imprigionava la giocherellona e di colpo vi ritornò con sguardo mirato. Niente da fare non c’era. Convinto di averla vista, provò e riprovò. Il controllo era positivo ma la verifica negativa o viceversa. Fu preso dal dubbio e, per scaricarsi di responsabilità, decise di informare il fratello, in fondo egli prestava opera per conto terzi.
– Compare, ce n’è una a ti vedo e non ti vedo, che devo fare?
Carmine, occupato a distendere ed a serrare le dita, perso nella difficoltà di districare la Via Lattea, gli rispose con un calcio nelle gambe.
Pietro, offeso, si girò di spalle.
– La vostra è malacreanza. Sbrigatevela da solo, io ci levo mani. Se vi interessa, ho contato fino al nocepersico.
Carmine non si aspettava quel voltafaccia familiare. Il tremore non tardò a manifestarsi, facendogli cadere i chicchi che teneva in mano. Tenacemente proseguì in solitudine, anche se quel giorno tutti lo avevano tradito: prima don Sisì, poi il fratello ed ultimo il sonno che lo accolse bambino tra le braccia, cullato dal canto dei grilli.