Salvatore MAMO, Revelabo,

Salvatore MAMO, Revelabo, Biblioteca Comunale  – Cianciana 2008
di Eugenio Giannone
   Continua l’opera meritoria dell’Amministrazione comunale di Cianciana tesa al recupero, per la salvaguardia e la diffusione, di opere inedite od ormai introvabili di autori ciancianesi. Dopo avere ristampato recentemente “La morti di lu Patriarca” di Alessio Di Giovanni (Prefazione di Salvatore Di Marco), adesso è la volta di “Revelabo” di don Salvatore Mamo, prete e poeta, nato e vissuto
 a Cianiana tra il 1839 e il 1920. Gaspare Conte ne ha curato prefazione, note e traduzione in lingua italiana.
   Il Revelabo, 153 ottave in vernacolo sul metro dell’ottava siciliana, si presenta come la continuazione di “Un viaggiu pri lu ‘nfernu”, poema bernesco in sei canti, che il poeta ciancianese aveva composto nel 1875 ma che, privo di imprimatur, non poté essere pubblicato e dovette attendere il 1989 allorché venne dato alle stampe dallo scrivente.
   Ventiquattr’anni dopo, il Mamo, stanco di essere vilipeso nella sua dignità sacerdotale per peccati veniali dal vicario foraneo don Alessio Di Giovanni, zio dell’omonimo e famoso poeta dialettale, ricollocò il suo nemico nell’inferno.
   Durante questo lasso di tempo i rapporti tra i due non erano affatto migliorati, non c’era mai stato feeling – diremmo oggi- ; si detestavano “cordialmente”, rimproverandosi peccati che all’occhio della gente offendevano l’abito talare.
   Nel Revelabo Don Salvatore considera le sue mancanze ’na ’nzita (una papula) mentre ben più rimarchevole gli appare la tisia (tisi) di don Alessio, che lo aveva accusato ai superiori e al Vescovo, riuscendo ad estrometterlo dalla rettoria della Chiesa del Carmine, per cui tanto egli s’era speso, e prenderne il posto. E’ proprio quest’ultima infamia che l’autore de Li Cunticeddi non riesce a perdonargli e perciò riprende il suo viaggio attraverso il regno infernale per mostrare il rivale nella sua vera essenza. Da qui il titolo, modulato da Nahum, III,5: “Revelabo pudenda tua in facie tua et ostendam gentibus nuditatem tuam” (Svelerò sotto i tuoi occhi le tue malefatte e ti mostrerò alle genti nudo), rimproverandogli la perseveranza nei peccati carnali e altre castronerie.
   Ancora una volta il Di Giovanni è collocato vivo nell’inferno e ancora una volta, in questo secondo viaggio, il Mamo è accompagnato dalla sua Musa – che lo invita a non essere recalcitrante, dire tutto e lasciare che chi ce l’ha si gratti la rogna – e da don Vincenzo F. Sedita (1716-1792), arciprete di Cianciana e autore del poemetto vernacolo L’avvinturi di Testalonga, pubblicato proprio dal suo “discepolo” Salvatore nel 1911.
   Fatto dipingere fisicamente il vicario in maniera caricaturale dalla sua “amante” prediletta Nina, Mamo inferge dei fendenti terribili al malcapitato peccatore, definendolo logorroico e vanaglorioso (gaddu tisu tisu),’nfami, crudili e saracinu, vigghiaccu, pazzu, Innominatu, testa di sceccu, diavulu ‘ncarnatu, sbirru di li parrini (perché vicario foraneo e, quindi, delatore), marvaggiu … pirchì ‘nzitatu supra lu sarvaggiu.
   La descrizione del personaggio vorrebbe essere, come il tono del libello, ironica, ma traspare tutta la sua acredine nei confronti del rivale e il risentimento verso alcuni colleghi preti che, nella lunga diatriba tra i due, avevano mantenuto un atteggiamento neutrale, pur conoscendo da quale parte stava il torto.
   L’impressione, scorrendo il testo, è che si tratti di una minuta per alcuni piccoli inconvenienti, al di là della facilità e felicità di rima e quantità del verso, l’endecasillabo di per sé molto orecchiabile. Dal Revelabo traspare la profonda cultura del Poeta, che accanto ad opere di autori recenti e poco noti, come d. Antonio Damiano, mostra di conoscere perfettamente Dante (chiari i riferiementi al canto XVII del Paradiso), Virgilio, il sentire popolare e, naturalemente, le Sacre Scritture (Cantico dei cantici, Geremia etc). Francamente preferiamo il Mamo autore dei meravigliosi Li cunticeddi di me nanna (1881) e Li cunticeddi di lu vecchiu (1911), dinanzi ai quali questo Revelabo toglie, per sua genesi e contenuto, e nulla aggiunge alla sua gloria poetica.
 (eugenio giannone)

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